Cologna

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In fatto ed in diritto

Albino Cologna, italiano per origine per lingua e per cittadinanza, essendo nato solo casualmente all’estero, durante una emigrazione temporanea dai genitori, entrambi di Castelfondo, nell’Alta Valle di Non, in provincia di Trento, era all’8 settembre 1943, soldato di un reggimento di artiglieria alpina a Strigno, in Valsugana. Rimasto libero, dopo diverse vicende, e dopo aver lavorato per la organizzazione T.O.D.T. come muratore venne nel febbraio 1944 assunto in servizio come interprete presso la polizia politica tedesca, la nota S.D. in Bolzano, ma per la sua scarsa conoscenza della lingua tedesca, fu poco dopo adibito ad altre mansioni, e nel maggio 1944 quando venne fondato il campo di concentramento di internamento organizzato dai tedeschi in Bolzano fu subito adibito a lavorare insieme come muratore, e come guardiano dei primi internati. Più tardi, essendosi, col suo contegno, guadagnata, la fiducia massima dei comandanti, diventò dell’uniforme degli S.D. simile a quella degli S.S. e tenne quelle funzioni sino alla fine dell’aprile 1945. Fu egli uno dei più terribili guardiani adibiti, nel numero di 25, alla disciplina interna del campo, per gli oltre tremila internati, quasi tutti prigionieri politici. Si nota che nel campo di Bolzano si avvicendarono nel decorso di quasi un anno, circa undicimila internati, in gran parte successivamente deportati in Germania, ai più noti campi di eliminazione. Per ferocia fu esso Cologna non da meno dei più feroci comandanti graduati o militi tedeschi, con l’aggravante, in confronto di quelli, della sua nazionalità italiana, perché con poche eccezioni, relative specialmente ad ostaggi parenti, di disertori alto atesini, che avevano un trattamento migliore di quello riservato agli altri prigionieri gli infelici custoditi nel campo, in condizioni di estremo avvilimento materiale e morale, erano nella grandissima maggioranza italiani. Sempre fornito di un nerbo di bue, che portava ostentatamente e tenutissimo anche per la sua straordinaria prestanza e forza fisica, egli accedeva a tutti i reparti, e colpiva come hanno deposto parecchi testi, per un nonnulla i prigionieri. Dedito al vino, era spesso, ubriaco, e si mostrava allora addirittura bestiale. Tra la fine dell’anno 1944 e la fine del febbraio 1945, quando più gravemente imperversò la persecuzione dei tedeschi contro il movimento italiano di resistenza, ebbe per qualche mese, le funzioni di maggior fiducia, da parte dei germanici, con l’incarico di custodire il cosiddetto blocco celle, cioè del reparto nel quale venivano rinchiusi gli internati considerati più pericolosi, in piccole celle buie d’isolamento, e dove numerose persone furono, soprattutto fra il novembre 1944 e il marzo 1945 torturate ed anche soppresse. Erano allora detenuti nel reparto del campo due militi ucraini delle formazioni SS germaniche, condannati alla reclusione da un tribunale militare tedesco, per avere usato violenza, ad una ragazza abitante nella città di Bolzano, come risulta dalla deposizione del teste dottor Luigi Novello, da Riva, internato nel campo per lungo tempo negli anni 1944 e 1945, e liberato appena alla fine dell’aprile 1945, il quale, come addetto all’ufficio matricole, ha potuto ed ha saputo sempre con evidente obiettività, narrare molto sull’attività dei comandanti, dei guardiani, e in genere sulla vita del campo. I due ucraini dovevano rimanere rinchiusi nelle loro celle, ma il Cologna, che quale custode, deteneva le chiavi della porta di accesso al reparto ed alle singole celle, lasciò loro una grande libertà di azione nell’ambito del blocco, lasciando aperte le loro celle ed anche quelle di alcuni infelici prigionieri che furono abbandonati alla ferocia assassina dei due militi, vere belve in veste umana, e sicari insensibili ad ogni richiamo di umana pietà, costituenti l’incubo più terrificante per i loro sventurati vicini. In quel tempo numerosi furono gli uccisi nel blocco, patrioti italiani e donne ebree rimasti anonimi perché di impossibile e di assai incerta identificazione, da una cella dal blocco, quando era custode di questo il Cologna, venne tratta anche la salma del più noto martire della resistenza locale, e capo del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino di Bolzano, il Dr. Manlio Longon, soppresso dai tedeschi, sulla fine del quale non si è però sino ad oggi ottenuto un pieno chiarimento non risultando che sia stato egli ucciso nel blocco e di accertare all’una o all’altra cella, presente od assente il Cologna, i due ucraini commisero nel blocco ogni sorta di atrocità, ma se alcune uccisioni furono e sono ritenute consumate per strangolamento dalle loro mani, è provato che in altri casi la partecipazione personale diretta del Cologna agli atti materiali, volontari ed immediati, coi quali ed alcuni infelici venne con la intenzione di uccidere data la morte, non fu meno importante e comunque minore di quella da essi avuta nei medesimi fatti. Come risulta dalle dichiarazioni della teste Fliri, che per particolari circostanze si trovò nella condizione di potere dalla sua cella di vedere, se non di udire, più degli altri reclusi, e inoltre, avendo conoscenza della lingua tedesca, poté comprendere i discorsi in tale lingua dal Cologna tenuti coi due ucraini, l’imputato volle, e procurò insieme coi due ucraini, e la parte da lui avuta nei due casi fu certamente più importante di quella dei due stranieri, la morte per fame di un prigioniero italiano e di una donna ebrea, lasciati senza alimenti, e diresse nel corridoio del blocco la bestiale bastonatura di un gruppo di partigiani, uno dei quali soccombette, dopo qualche giorno alle battiture subite. Nel primo caso l’imputato manifestò con parole rivolte agli uomini il proposito di far morire di fame la vittima, e per il secondo caso gli è stato dalla teste oculare rimproverato che egli visitò parecchie volte al giorno la donna lasciata morire di fame. Per il terzo caso concorrono, nel brutale episodio, le deposizioni concordi dei testi Magri, Salvi, Laoni, Benincasa, Pitschieler, Pedrotti e Don Longhi. Parecchi udirono l’imputato ordinare ai nove prigionieri di lascare andar giù i pantaloni e le mutande; e lo sentirono anche avvicendarsi coi due ucraini nella bestiale azione di battitura. Il Menincasa vide poi nella latrina uno dei colpiti con la parte posteriore piagata, mentre il dottor Pitschieler allora studente in medicina di Bolzano, internato nel campo ed adibito al servizio di cucina e a quello di sanitario per i prigionieri, ha precisato nell’istruttoria particolari raccapriccianti sulle condizioni in cui uno dei colpiti era stato ridotto dalle battiture. Si trattava di un lombardo, dottore in chimica, che aveva la parte posteriore completamente privata delle parti molli, con l’osso sacro allo scoperto, e grosse sacche di pus e flemmoni nelle regioni circostanti. Se nei fatti sopra descritti la responsabilità diretta ed immediata del Cologna nell’uccisione e nelle torture delle vittime, risulta particolarmente provata, eguale responsabilità, è da ritenere sussistere a carico dello stesso imputato per le altre uccisioni e per gli altri atti di tortura, commessi specialmente lasciando i prigionieri affamati e assetati, e descritti dai diversi testi. Basta far cenno delle torture inflitte con getti di acqua fredda a diverse donne ebree, giovani e vecchi, e dei casi di strangolamento ricordati dai testi Tazzari, De Biasio, e da altri. E qui non si tiene conto delle altre terribili gesta ricordate da testi non comparsi al dibattimento perché non più reperibili al tempo del giudizio, o per difficoltà personali. Il teste Novello ha spiegato come il Cologna poté, nel commettere le più gravi azioni criminose, agire anche per compiacenza verso il vice comandante del campo, il feroce maresciallo tedesco Haage, e forse anche d’intesa con lo stesso, ma ha confermato che lasciando liberi gli ucraini fuori dalle loro celle e a contatto con gli altri detenuti del blocco, egli contravvenne alle disposizioni in materia date dal comandante del campo, tenente delle SS Tito, il quale non appena venne a conoscenza dei più gravi fatti avvenuti nel blocco celle, provvedette a sostituire l’imputato con altro guardiano. Numerosi testi hanno concordemente dichiarati, che allontanato il Cologna dal blocco celle, risultò cessato, o molto attenuato, il terrore, in quel triste reparto. Si deduce da ciò, che per se non si può ragionevolmente far risalire a lui l’iniziativa di tutti i singoli casi più selvaggi di soppressione e di tortura, esso imputato fu almeno l’unico italiano e il più feroce collaboratore dei quattro o cinque più feroci aguzzini tedeschi del campo, peggiore degli SS lo dichiara anche il Dr. Franzelin da lui citato a discolpa. Come malvagio, feroce seviziatore, cooperatore di altri guardiani nella cosiddetta tortura dell’idrante, nella quale gli internati sottoposti a un violento getto d’acqua, persecutore del settantenne avvocato Alessandro Loew ebreo di Bolzano, che fu successivamente deportato in Germania, autore di crudelissimi gesti in danno di ammalati, e in genere di inermi e di indifesi, battuti, lasciati senza rancio per due giorni con futili pretesti, costretti ad estenuanti esercizi ginnastici in condizioni di estrema debolezza, pestati barbaramente coi piedi lo descrivono numerosi testi, Anderle, Piccioni, i due Lorenzini, i due della Santa, Dametz, Rossi, Moser, Mallemsier, Pedrotti Novello, Da Re, Don Longhi. Il teste Hacker, addetto alla cucina, lo vide quando insieme col maresciallo Haage, si presentò in quel locale, a chiedere acqua calda e sapone per lavarsi le mani insanguinate. Colle mani insanguinate lo vide anche altro teste, il Caderino Duogo. In senso favorevole all’imputato hanno deposto soltanto alcuni testi, nativi di Castelfondo, quindi del suo stesso paese, che trovandosi nel campo o avendo dei congiunti internati per motivi non gravi, o almeno non considerati molto pericolosi ebbero da lui piccoli favori, ed insieme qualche altro teste che dall’esterno poté per mezzo di lui corrispondere con qualche detenuto. A carico di esso imputato hanno invece deposto i principali testi citati a discolpa in persona di noti detenuti politici, quali il Dr. Franzelin, il Pedrotti e Don Daniele Longhi. Merita speciale menzione la deposizione di quest’ultimo giovane e coraggioso sacerdote della Val D’Astico, internato in cella come membro del Comitato clandestino di Liberazione Nazionale di Bolzano, che pur avendo molto sofferto, non si era mai prima di oggi presentato come accusatore, e citato a discolpa pur dopo qualche esitazione per scrupoli relativi alla sua qualità di religioso, ha sentito il dovere, per la verità e la giustizia, fare dichiarazioni gravissime a carico dell’imputato, e ha accusato pure di avere fatto deportare in Germania il giovane trentino Ezio [ill.] da Folgarida, non più ritornato in patria.

Si nota infine che una più completa istruzione avrebbe potuto far accertare responsabilità dello stesso imputato anche più estese di quelle sopra esposte in base alle risultanze del processo.

Ciò premesso, il Cologna, per il complesso della sua orribile attività al servizio dei tedeschi, svolta come appartenente al corpo di polizia politica del servizio di sicurezza (S.D.) culminata nelle più efferate sevizie e nella eliminazione violenta di persone ostili agli occupanti e da questi ritenuti tali, ed esercitata sempre secondo, i più condannabili metodi della Germania nazista, particolarmente come autore, almeno in concorso, con altri, della volontaria uccisione di più persone va riconosciuto colpevole dei delitti ascrittigli, di collaborazione col tedesco invasore, a sensi degli art. 5 D.L.L. 27 luglio nr. 159 e I D.L.L. 22 aprile 1945 nr. 142, in relazione all’art. 51 C.P.M.G. e di omicidio continuato, in correità con altri ai sensi degli art. 110, 575 e 81, capoversi II e II, del C.P.C. Per il primo reato è applicabile la pena base di morte, e per il secondo reato si giudica adeguata la pena base di 24 anni di reclusione, nella specie dette pene vanno diminuite, essendo da ammettere le attenuanti dell’art. 62 bis del C.P.C. tenuto conto della sinistra influenza che sulla rozza, personalità dell’imputato poté esercitare il tristo ambiente di implacabile persecuzione della polizia nazista nella quale egli spiegò il suo terribile zelo, e sono conseguentemente da applicare per il delitto di collaborazione la pena di 25 anni di reclusione e per quello di omicidio, con la riduzione di un quarto la pena di 18 anni di reclusione che per la continuazione va però elevata alla misura di 22 anni. Per il cumulo delle pene relative ai due delitti risulta in definitiva applicabile al Cologna la pena principale di anni 30 di reclusione alla quale a sensi degli art. 28, 229 e 230 nr. I del C.P.C. sono da aggiungere la interdizione perpetua dai pubblici uffici, e la sua misura di sicurezza della libertà vigilata per almeno tre anni. Dieci anni di reclusione sono da dichiarare condonati a sensi dell’art. 9 del decreto presidenziale 22 giugno 1946 nr. 4. Lo stesso Cologna va condannato, secondo l’art. 488, del C.P.P. al pagamento delle spese processuali, mentre la confisca dei suoi beni a vantaggio dello Stato va ordinata a norma dell’art. 9 del D.L.L. 27 luglio 1944 nr. 157.

Imputato dei delitti di collaborazione col tedesco invasore a sensi degli art. 5 D.L. 27 luglio 1944 art. 159 e I D.L.L. 22 aprile 1945 nr. 142 e di omicidio art. 576, 577 nr.4 in relazione agli art. 61 nr. 1 C.P. per avere successivamente all’8 settembre 1943, collaborato col tedesco invasore nella sua qualità di guardiano del campo di concentramento di Bolzano, e di capo blocco di celle, commettendo egli stesso e facendo commettere agli uomini Micha e Sain Otto numerose uccisioni di internati sevizie, torture, e percosse e trattenendo gli internati del blocco celle in modo bestiale, percuotendo e maltrattando altri internati del campo.

In esito al pubblico ed orale dibattimento, iniziatosi il giorno 9 corr. e conclusosi oggi dieci, sentito l’imputato nelle sue discolpe, sentiti i testi di accusa e quelli omessasi di difesa, sentite le conclusioni orali del P.M. uditi i difensori dell’imputato e questo nuovamente che per primo e ed ultimo ebbe la parola, si osserva.

P.Q.M.

La applicazione degli art. 483, 488 C.P.P: 29, 229, 230 nr. I C.P. e 9 D.L.L: 27 luglio 1944, nr. 157, dichiara l’imputato Albino Cologna colpevole del delitto di collaborazione col tedesco invasore a sensi dell’art. 5 D.L.L. 27 luglio 1944 nr. 159, e I D.L.L. 22 aprile nr. 142 in relazione all’art. 51 C.P.M.G. e di correità nel delitto di omicidio continuato, a sensi dell’art. 110, 575, e 81, capoverso 1 e 2, C.P. e tenuto conto per entrambi i reati delle attenuanti di cui all’art. 62 bis C.P. lo condanna alla pena di 25 anni di reclusione per il primo delitto, e alla pena di 28 anni di reclusione per il secondo delitto, e complessivamente alla pena di 30 anni di reclusione, con la interdizione perpetua dai pubblici uffici, e al pagamento delle spese processuali. Dichiara condonati dieci anni di reclusione a sensi dell’art. 9 del decreto presidenziale 22 giugno 1946 nr. 4. Ordina che al termine della reclusione il Cologna sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per almeno tre anni. Ordina la confisca  dei beni dello stesso Cologna a vantaggio dello Stato.

ANNO:

1946

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Bolzano. Sezione speciale

PRESIDENTE:

Dell’Aira Giulio

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Altro,

ACCUSATI:

Cologna Albino

VITTIME:

Loew Alessandro

COLLOCAZIONE:

Archivio Centrale dello Stato, Ministero di Grazia e Giustizia, Carceri, Detenuti politici, b.4