B. Giuseppina

Filtri

Motivi in fatto e in diritto: La mattina del 29 marzo 1945 si presentavano nell’abitazione della Signora Aldrighetti Carla, in Milano, due donne ad essa sconosciute, che risultarono poi essere, B. Giuseppina e M. Ines, da Torino. La Machet si fermava in anticamera, presso il telefono, mentre la B. veniva introdotta nel salotto. Il marito dell’Aldrighetti era ancora a letto. Era invece già alzato e stava vestendosi l’ing. Pio Castelfranco, industriale di cui l’Aldrighetti era segretaria e che si trovava in casa come ospite.

Il Castelfranco, quantunque di religione cattolica, era di razza ebraica.

La B. entrava tosto con l’Aldrighetti in un discorso strano ed inaspettato: suo marito, agente di Questura, era incaricato delle pratiche relative alla posizione di una diecina di ebrei, fra cui figurava appunto il Castelfranco. In base ad appunti scritti di cui era munita, la B. dimostrava di essere perfettamente al corrente di tutto quanto rifletteva il Castelfranco e la di lui famiglia, il quale perciò veniva interessato ad intervenire nella discussione. La posizione dell’Aldrighetti e del Castelfranco era, al dire della B., pericolosa; ma il di lei marito era disposto a favorirli. Due agenti, colleghi del marito, si trovavano in istrada appostati pronti ad intervenire. Ma tutto si poteva evitare sborsando la somma di L. 600.000. A tale richiesta i due rimanevano sbalorditi ed impressionati; tuttavia, con tattica, cercando di ottenere una prima riduzione, e poi una dilazione per avere tempo di trovare la somma, si ingegnavano di levarsi dall’impiccio.

La B., quanto all’ammontare della somma, si dimostrava inflessibile; ma quanto alla dilazione, avvicinatasi al telefono, entrava, o fingeva di entrare, in comunicazione con un certo Bianchi, terminando col concedere un differimento sino alle ore 14 dello stesso giorno, in cui sarebbe ritornata per concludere. Indi con la sua amica se ne andava.

Di tale sosta approfittavano il Castelfranco e l’Aldrighetti, il primo per allontanarsi e far perdere le proprie tracce dopo essersi accertati che nessun agente di polizia vigilava nella strada, e la seconda per recarsi al Commissariato di P.S. Sempione a riferire il fatto. Veniva così disposto un appostamento in casa dell’Aldrighetti mediante l’intervento di due agenti per l’ora del convegno pomeridiano.

Ma invece delle due donne, alle due del pomeriggio giungeva una telefonata della B. che invitava l’Aldrighetti a trovarsi alla Stazione centrale. Questa vi andava, ma in compagnia dissimulata dei due agenti, i quali intervenivano per arrestare le due donne allorquando ebbero modo di sentir ripetere la richiesta delle 600000 L.

Al Commissariato Sempione le due donne venivano interrogate e quindi denunziate all’autorità giudiziaria per tentativo di estorsione. Scarcerate il 25 aprile per libertà provvisoria, durante il viaggio di ritorno a Torino la M. moriva per infortunio a Novara il giorno 28 di aprile.

Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Milano svoltosi il 6/8/45, avendo il Collegio rilevato che la B. aveva denunziato alla P.S. che l’Aldrighetti occultava in casa l’ebreo Castelfranco, e che quindi sussisteva anche il reato concorrente di collaborazione coi tedeschi per cui la competenza veniva spostata alla Corte di Assise straordinaria, il Tribunale dichiarava la propria incompetenza.

Con la duplice imputazione di cui in epigrafe la B. è stata pertanto chiamata dinanzi a questa Corte.

Essa ha negato di avere fatto la richiesta di denaro nei termini esposti dall’Aldrighetti. Con la M. erasi recata in casa di quella per lo scopo di richiedere il pagamento di un credito dell’amico della M., certo Magnani Gianfranco di Torino, che gliene aveva dato incarico dato che si doveva recare in questa città per affari inerenti al suo commercio di pellicciaia. Dopo il primo incontro al mattino, aveva sollecitato il secondo incontro alla stazione avendo per improvvise ragioni dovuto decidere di ripartire. Nessuna richiesta di denaro era stata fatta neanche in questo secondo incontro nel senso riferito dalla denunziante. In tutta questa faccenda essa era intervenuta per fare un piacere alla Machet la quale, essendo sofferente, non era in grado di occuparsi della trattativa.

Rileva la Corte come la denunzia, già esposta particolareggiatamente nella fase istruttoria, sia stata dall’Aldrighetti pienamente confermata al dibattimento. La stessa ha esposto lo stato di turbamento d’animo e di preoccupazione in cui venne a trovarsi in seguito alla rivelazione, fattale dalla sconosciuta, che la sua condizione di favoreggiatrice di una persona di razza ebraica fosse nota all’autorità, che degli accertamenti fossero in corso e due agenti sostassero nella strada per dar corso a non ben precisate operazioni di polizia.

Tali asserzioni della denunziante sono state confermate dalla deposizione del Castelfranco, il quale, mentre da un lato ha escluso in modo categorico di essere mai stato debitore di alcunché verso il preteso Magnani, persona da lui superficialmente conosciuta qualche anno prima in casa di comuni amici, ha affermato di avere ritenuto prudente allontanarsi da quella casa non appena la B. se n’era andata.

La Corte osserva che infondatamente si è ritenuto dal Tribunale ordinario di riscontrare nei fatti il reato di collaborazione coi tedeschi di sui al primo capo di imputazione. Non vi è alcun elemento per dire che la B. abbia in un momento qualsiasi denunziato il Castelfranco alla Polizia per la sua qualità di appartenente alla razza ebraica.

Tale qualità era invece a lei nota per non si sa quale altra via, e di tale circostanza si avvalse per tentare il vero colpo a cui mirava; quello di estorcere denaro.

Che i mezzi adoperati a questo scopo fossero idonei a raggiungerlo è dimostrato dalla circostanza che l’Aldrighetti, prima di far uscire di casa il Castelfranco, volle sincerarsi presso la portinaia che nella strada non vi fossero più i due agenti di cui la B. le aveva parlato: segno questo che vi aveva creduto e che realmente temeva in un possibile intervento della polizia.

Se la B. aveva il suo piano, i due minacciati avevano potuto, durante la discussione, concepirne un altro di difesa, cercando di eludere la richiesta di denaro col tergiversare e prender tempo: e questo giovò loro per evitare che il delitto potesse essere portato a compimento.

Che nel fatto si debbano ravvisare gli estremi del reato di estorsione e non quello di truffa aggravata (art. 640 cap. 1) si desume dall’elemento di minaccia che la B. era riuscita a mettere in opera adombrando la possibilità di un pericolo reale, e non semplicemente supposto, anche se in effetti essa non era la moglie di un agente di polizia, come diceva, e non vi erano in istrada i due agenti pronti per intervenire; perché occorre riportarsi a quel che era la caccia spietata che veniva data agli ebrei in periodo nazi-fascista, per comprendere il grave timore che doveva sorgere in chi si vedeva ad un tratto scoperto per appartenente a quella razza, e nelle persone che gli davano ricetto.

Si deve pertanto affermare la colpevolezza della B. per il reato di tentata estorsione, mentre per la imputazione di collaborazione coi tedeschi si deve dichiarare che il fatto non costituisce reato, in quanto esso non venne consumato con una vera e propria denunzia o delazione all’autorità, ma rientra quale elemento di fatto costitutivo del primo.

Per quel che concerne la pena, tenuto conto della scaltrezza particolare dimostrata nell’azione, la Corte ritiene che sia adeguato muovere da quella di 4 anni di reclusione e L. 8.000 di multa con la diminuzione alla metà per il tentativo, applicando così in concreto due anni di reclusione e lire 2.000 di multa.

La B. deve essere condannata al pagamento delle spese.

Nei confronti della M., la cui morte risulta dal certificato dell’ufficio di Stato civile di Novara, a f.25, si deve dichiarare che il reato è per tale causa rimasto estinto.

Imputata 1) di avere, posteriormente all’8.9.1943, commesso in Milano il delitto contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, previsto dall’art.5 del D.L.L. 27.7.1944 n.159, in relazione all’art. 1 D.L.L. 22.4.1945 n.142 e punito ai sensi dell’art. 58 C.P.M.G. in relazione all’ultima ipotesi del capoverso 3 dell’art. 1 citato, per avere mediante collaborazione col tedesco invasore, tentato di estorcere denaro, minacciando persone che davano asilo a cittadini di razza ebraica.

2) Del reato di cui all’art. 56 629 C.P. per avere in Milano il 29.3.1945 in concorso fra loro (con Machet Ines) coimputato atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Aldrighetti Carla a consegnare l. 600mila, minacciandola di denunzia quale favoreggiatrice di una famiglia ebrea, senza riuscire nell’intento per essere intervenuti due agenti di P.S.

Per questi motivi la Corte, V. gli art. 829 p.p. 56 cod. pen. 483, 488 cod. proc. Pen. Dichiara B. Giuseppina colpevole del delitto di tentata estorsione in danno di Aldrighetti Carla, e la condanna alla pena di due anni reclusione e lire. 4000 di multa e al pagamento delle spese processuali.

  1. l’art. 479 cod. proc. pen.
Assolve la stessa B. dall’imputazione di collaborazione coi tedeschi perché il fatto non costituisce reato.

Dichiara non doversi procedere contro Machet Ines per estinzione del reato a causa della sua morte.

ANNO:

1945

TRIBUNALE:

Corte di Assise del Circolo di Milano. Prima Sezione Speciale  

PRESIDENTE:

Bottino Giambattista

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione,

ACCUSATI:

B. Giuseppina
Machet Ines

VITTIME:

Castelfranco Pio

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise Speciale, Sentenze 1945

BIBLIOGRAFIA:

Nicoletta Moccia, Il male comune. Le donne collaborazioniste a Milano dal 1945 al 1947, Mimesis, Milano, 2018