D. Bruno

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Fatto e diritto

accusato di aver collaborato con tedeschi, quale agente informatore della "Casa dello studente" (sede in Genova delle S.S.) alle dirette dipendenze del maresciallo Janich del reparto contro gli ebrei, il D.  Bruno veniva tratto in arresto ed iniziata contro di lui regolare istruttorio.

Il risultato delle indagini stabiliva la partecipazione del prevenuto alla caccia spiegata contro gli israeliti durante il periodo di occupazione tedesca e che, particolarmente in Genova, fu oltremodo fruttuosa, a causa della collaborazione attiva d traditori italiani.

Fra costoro il D. appare aver avuto parte preminente, e, nonostante le difficoltà delle indagini derivanti dal fatto che la quasi totalità delle persone arrestate non è tornata dai campi di concentramento, si poté stabilire che l'imputato aveva partecipato alla cattura dei coniugi Cavaglione Emanuele e Margherita, e di una maestra, oltre ad essersi reso colpevole di delazioni e di atrocità e sevizie negli interrogatori praticati alla casa dello studente ad un altro ebreo, il Vadana Leone.

Varia fu l'attività delittuosa del D., a margine della sua opera di informatore, ma in correlazione alla funzione che rivestiva ed alla situazione di completo arbitrio determinatasi come conseguenza della occupazione tedesca.

Fu così che l'imputato impunentemente:

una estorsione per altre 30.000 L. in danno di Marando Mario; altra estorsione a mano armata in danno di Don Giuseppe Oreto per un importo di circa 50.000 L. in denaro ed in gioielli; e partecipare, insieme a militari tedeschi, a due furti di valore rilevante commessi nelle circostanze di tempo e luogo spiegate nei relativi capi. L'imputato confessava solamente la partecipazione sia all'arresto dei coniugi, ma negava decisamente e ostinatamente gli altri addebiti.

L'atteggiamento del D. non si modificava al pubblico dibattimento. Raccontò che egli alla "Casa dello studente" avrebbe avuto mansioni umili; che vi sarebbe stato reclutato, non avendo avuto altra alternativa all'infuori del campo di concentramento in Germania: la tessera di consentiva solo il libero ingresso nella "casa".

Le dichiarazioni, però, dei testi, e i fatti, smentiscono l'imputato nel tentativo, del resto infantile, di minimizzare l'importanza della sua persona e del ruolo rivestito nell'ambito della "Casa dello studente".

L’U., il F. ed il B., che pure facevano parte del personale della famigerata casa, sono concordi nell’asserire che il D.  era un informatore delle SS, in possesso di porto d’arma e di tessera di libera circolazione rilasciati dai tedeschi […]. Egli – dichiararono l’U. ed il B. – era particolarmente addetto al reparto contro gli ebrei ed anzi ne era “uno dei principali informatori”, “uno degli elementi più attivi”. E mentre l’U. […] si dilunga a raccontare di averlo veduto una quindicina di volte dal maresciallo Janich (capo del reparto contro gli ebrei) ed udito personalmente trattare su ebrei da ricercare, il B. […] precisa [ill.] per scienza diretta dell’arresto da parte del D.  dei coniugi Cavaglione, di una maestra ebrea, e di elementi della cospirazione in Sestri Ponente.

Di fronte a dichiarazioni così categoriche non reggono i deboli dinieghi opposti dall’imputato specie ove si consideri che i testi non avevano alcuna ragione particolare contro il D., che le testimonianze di costoro si concatenano in modo singolare.

Ma, a stabilire in modo certo il collaborazionismo dell’imputato, vi sono episodi incontrovertibili.

Uno, quello dell’arresto dei coniugi Cavaglione, ammesso dallo stesso imputato, probabilmente perché nell’impossibilità di negarlo, dato che la cattura dei due disgraziati venne compiuta in casa del Morando alla presenza di svariate persone. Il D.  di presentò nell’appartamento dove i coniugi erano stati ricoverati, con mano armata di rivoltella, accompagnato da altri due italiani della sua stessa risma, individuando immediatamente i due coniugi, nonostante il possesso di documenti falsi, e quindi li traeva in arresti trasportandoli alla Casa dello Studente. Il prof. Affermi, presente all’episodio, lo descrive a fogli 12 e 38 degli atti, ed è esplicito e preciso nelle circostanze che i due che si presentarono all’appartamento (fra cui il D.) per eseguire il materiale arresto, erano armati di rivoltella e si qualificarono come agenti delle S.S. L’imputato pretendeva affermare che la partecipazione rea fu occasionale ed imposta e che la così detta arma da lui impugnata non era altro che una falsa pistola di quel tipo definito “scacciacani”. Però, quale sia il [ill.] che si dovrebbe avere delle vaghe ed incongruenti difese dell’imputato (a pressioni non specificate e lo “scacciacani” appaiano per la prima volta avanti al magistrato, dopo svariati interrogatori in Questura), basta osservare una volta per tutte che egli recita avanti al magistrato ed anche in pubblico dibattimento la pietosa inverosimile storia di un perseguitato – lui medesimo, si capisce – che per essersi voluto arruolare nelle brigate nere all’epoca della loro formazione, cioè nel luglio agosto 1944, sarebbe stato il Faloppa (il federale) alle S.S. tedesche quale ribelle, e che i tedeschi, anche perché claudicante, e d’altra parte minacciandolo di internamento, gli avrebbero fatto obbligo di prestarsi a qualche piccolo (basso) servizio, in genere acquisti di biglietti per spettacoli od appuntamenti per ragazze. Nella sua [ill.] improntitudine il D., reiterando la parte, aveva completamente dimenticato che i fatti più gravi contestati o provati, risalivano alla primavera del 1944, ad epoca cioè di molto anteriore a quella della pretesa pressione etc.

Infatti è lo stesso imputato che conferma […] di aver partecipato nel marzo 1944 all’arresto dei coniugi Cavaglione e tale data, mai smentita, è stata pure confermata dal Prof. Affermi […] e dal signor Migne Enrico […] che furono entrambi presenti all’arresti, oltreché dal nipote delle vittime – pure Cavaglione Emanuele – […] ed indirettamente dal B., in quanto quest’ultimo, parlando delle malefatte del D.  (fra cui l’arresto dei Cavaglione) si riferiva esclusivamente ad un periodo di tempo […] compreso fra il dicembre 1943 ed il giugno 1944, quanto [ill.] durò il suo servizio alla Casa dello studente.

Perciò è certo che il D., che si era iscritto spontaneamente [ill.] dall’ottobre 1943 […] al partito fascista repubblicano, di certo collaboratore dei tedeschi, principalmente nella caccia condotta da costoro contro gli ebrei, fece dai primi mesi dell’occupazione tedesca in Genova, ed in ogni modo almeno sette od otto mesi prima dell’epoca delle famose asserite pressioni.

Proseguendo nell’attività delittuosa del D., nell’articolo del capo a) della imputazione, si debbano ritenere fatti accertati l’arresto delle maestre ebree […] il cui nome venne indicato dal Bottaro in pubblico dibattimento insieme con la notizia del suo mancato rientro dai campi di concentramento, ed inoltre il fermo di parecchi cittadini antifascisti di Genova Sestri. Nessun dubbio può 1essere affacciato sulla veridicità della dichiarazione del B. perché le stesse, almeno per ciò che riguarda i fatti più importanti (arresto dei Cavaglione, possesso di gioielli rubati, posizione dell’imputato nella Casa dello Studente) sono confermate dalla confessione dello stesso D., appare da testimonianze molteplici.

Si consideri, d'altra parte, all'estrema difficoltà di raccogliere prove in così delicata materia, per la feroce con cui i tedeschi si salvaguardarono dalle indiscrezioni, per il segreto che circondava le operazioni e l'omertà che legava gli esecutori, sia infine per il semplice motivo che la quasi totalità degli ebrei catturati non rientravano più dai campi di concentramento.

È certo inoltre che il D.  ebbe parte delle sevizie inflitte al Vadana anche se quest'ultimo in pubblico dibattimento espresse qualche dubbio (che non aveva avuto in istruttoria) nel riconoscimento nella persona dell’imputato, di colui che aveva partecipato alle torture inflittegli nell’interrogatorio.

Le ragioni della agitazione dell’ultimo istante, da parte del Vadana, possono spiegarsi col comprensibile stato di turbamento in cui doveva trovarsi all’atto in cui diversi aguzzini lo assoggettavano a pratiche martorianti, ma, poiché su una circostanza non ebbe mai dubbi il Vadana, che cioè uno degli aguzzini sia stato interpellato come D., le ragioni del dubbio viene a cadere.

Per quanto invece riguarda l’accusa di partecipazione all’eccidio del Turchino ed al rastrellamento di Gavi, occorre rilevare che l’addebito di tali fatti è dovuto a mero errore materiale perché i medesimi sono dal Bottaro riferiti non al D., ma bensì al Nicoletti (altro collaboratore della Casa ello Studente, già condannato da questa Corte alla pena capitale).

Passando quindi alle minori imputazioni si osserva:

Per l’estorsione in danno del signor Morando Mario si ha la denunzia specifica della parte lesa tenuta in soggezione dalla circostanza che nella sua abitazione erano stati rintracciati i coniugi ebrei Cavaglione, e dal fatto che lo stesso Morando aveva un cognato di razza ebraica. Prima si era presentato al Morando certo Priori che, facendogli intendere l’opportunità di tacitare anche l’agente ed il maresciallo (quello zoppo che aveva arrestato; Cavaglione), si fece consegnare lire 10.000.

Dopo qualche giorno si presentò al Morando il “maresciallo zoppo” che gli mostrò […] la tessera delle SS dicendogli che era il maresciallo D.  e che era venuto per controllare la riscossione del suo agente. Facendogli quindi rilevare quanto irrisoria fosse la somma per il pericolo che correva, gli ingiusse di dare altri denari, altrimenti avrebbe dovuto arrestarlo insieme al cognato. Cosicché il Morando dovette rassegnarsi a versare prima altre 20.000 lire e poi, a seguito di ulteriori pressioni, ancora lire duemila.

Non meno chiara è la responsabilità incontrata dal D.  in ordine all’estorsione in denaro di Don Giuseppe Oreto.

Dalla istruttoria è messa in luce la coercizione morale esercitata dal D. sul giovane Emanuele Cavaglione, alla cui pavidità si deve se i parenti perdettero i beni, ed alcuni anche la vita. Per salvarsi dalla cattura, perché pure lui di razza ebraica, evidentemente il giovane Cavaglione tradì col D. i più gelosi segreti dei parenti e con il prevenuto poté conoscere, fra l’altro il motivo dell’arrivo di Don Oreto, e l’ora precisa del passaggio a sue mani dei denari e dei gioielli del Cavaglione Angelo. Senza tanti complimenti, e con mano armata di pistola, Don Oreto venne aggredito per la strada e costretto alla consegna dei valori al D.  mediante minaccie gravi.

Non si ritiene, per contro, che vi siano sufficienti indizi di reità in ordine alle altre due imputazioni di reato.

Per quanto le presunzioni a carico del D.  siano gravi, perché, nel primo caso, solo lui, quale capo della spedizione al momento dell’arresto, può aver notato l’allontanamento temporaneo della Cavaglione Margherita con la scusa di soddisfare un bisogno corporale e trarre le logiche conclusioni che la portarono nel [ill.] seguito di indagini ed al ritrovarsi dei gioielli, tuttavia non è neppure escluso che la disgraziata sia stata costretta alla confessione dai tedeschi (perché solo costoro eseguirono la perquisizione in casa del Morando), sulla casuale però segnalazione del D. .

E sul secondo furto in danno del Vadana il collegamento del D.  all’impresa è dato dalla sua partecipazione alle torture sofferte dalla parte lesa, mentre il mancato riconoscimento, nel prevenuto, del borghese che accompagnava i tedeschi nell’opera di depredazione, introduce quell’elemento di dubbio che porta, come nell’altro caso, all’adozione della formula di assoluzione dubitativa.

Imputato

a. Del reato di cui all’art. 81 c.p., R.D.L.L. 22.4.1945 n.142, 5 D.L.L. 27.7.44 n.159 in relazione agli art. 54, 58 C.P.M.G. per avere in più riprese, in Genova posteriormente all’8.9.1943 e fino alla liberazione, con più azioni [ill.] di un medesimo disegno criminoso, collaborato attivamente col tedesco invasore, favorendone i disegni militari e politici, nella sua qualità di agente informatore della “Casa dello Studente” alle dirette dipendenze delle SS tedesche, per l’identificazione e l’arresto di ebrei, procedendo all’arresto dei coniugi Cavaglione Emanuele e Margherita ed al fermo del professor Affermi, i primi due di razza ebraica internati poi in Germania, arrestando una maestra ebrea abitante in via E. Toti, inviata successivamente in un campo di concentramento, fermando in Sestri Ponente varie persone col fingersi antifascista e denunciandone poi alle SS esplicando con solerzia le sue funzioni per l’ufficio dalle quali era munito di tessera di agente informatore, di porto d’armi e di permesso di circolazione anche del coprifuoco, partecipando all’eccidio del Turchino, a rastrellamenti nella zona di Gavi, dimostrando violenza e crudeltà negli interrogatori degli inquisiti, commettendo varie atrocità contro certo Vadana Leone, arrestato nell’ottobre 1944, mediante somministrazione, nella casa dello studente, di scosse elettriche, compressione della bocca con un bavaglio ed  insufflazione  di acqua nelle narici.

b. Del reato di cui all’art. 6 e 9 e p. per avere mediate minaccie di arresto, qualificandosi per agente delle SS tedesche, costretto Morando Mario a dargli 32.000 in più riprese, in Genova, nell’estate del 1944.

c. Del reato di cui agli art, 624, 625 n.1, 5, u.p. c.p. per essersi impossessato in danno della sig. Cavaglione Margherita in casa di Morando Mario, in Genova, nell’estate 1944, di vari gioielli, che la Cavaglione aveva nascosto nel gabinetto da bagno commettendo il fatto con agenti delle SS italiane in numero di più di 3.

d. Del reato di cui all’art. 629 u.p. in relazione all’art. 628 u.c.p.r. per avere mediante minaccia di morte con la pistola in mano costretto don Giuseppe Oreto, parroco di Pannesi di Lumarzo a consegnargli un certo quantitativo di gioielli e lire 20.000 in danaro che esso Oreto aveva ritirato in precedenza da un nipote del Cavaglione Angelo per portarli a costui, in Genova nella primavera del 1944.

e. Del reato di cui agli art. 624, 625 n.1 e 5 u.p.c.p. per essersi impossessato, in concorso di due tedeschi nella casa di Vadana Leone di lire 167.000, di diverse monete di oro in franchi e sterline e di due radio nel novembre 1944.

Prendendo in esame l’attività del D.  ai fini della fissazione della pena, deve osservarsi preliminarmente che nel caso non può parlarsi di collaborazionismo a sensi dell’art.54 [ill.] la prova del dolo specifico richiesto per l’intelligenza o corrispondenza del senso voluto dalla legge. Per quanto il prevenuto fosse fra i collaboratori della “Casa dello Studente” uno degli elementi più attivi, tuttavia è pur vero che egli, sia pure come capo di una piccola squadra, sperava in linea di massima che agli ordini dei suoi padroni tedeschi, favorendogli particolarmente in quello che era uno dei loro principali disegni politici, la caccia agli ebrei ai fini della loro eliminazione e spogliazione.

Quindi aiuto al nemico a sensi dell’art. 58 C.P.M. di guerra, e pena adeguata alla attività dell’imputato in tale campo stimasi quella di anni dodici di reclusione, oltre ai conseguenti accessori.

A parte, e separatamente, debbono pure [ill.] le due estorsioni di cui sopra trattandosi di attività estranee alla collaborazione a favore dei tedeschi e da essa completamente indipendente.

Infatti non possono rientrare nel concetto di reato [?] al fine del collaborazionismo, reati che ne sono del tutto estranei e che si debbono alla personale iniziativa di criminali che agivano per personale esclusivo tornaconto. Tali azioni però, in quanto esecutive di un medesimo disegno criminale debbono regolarsi a sensi dell’ultima parte dell’art. 81 C. pen. Per cui, un’estorsione aggravata continuata e partendo da un minimo di anni quattro di reclusione e lire 10.000 di multa, con l’aumento di anni due e lire 2.000 (da un terzo alla metà per l’aggravante dell’arma) ed infine con l’ulteriore aumento di anni 2 e lire 3.000 (l’art. 81 accorda l’aumento fino al triplo) si ha un complesso di pena di anni 8 e lire 15.000 di multa per l’estorsione aggravata continuata, la quale pena, sommata a quella inflitta per il collaborazionismo importa in totale anni venti di reclusione e lire 15.000 di multa oltre agli accessori di legge fra cui le spese.

Anche il D. , come tutti i criminali del genere, vanta delle benemerenze per favori prestati a qualche conoscente cospiratore. La Corte però non ritiene che tali benemerenze – in realtà piuttosto irrilevanti – possono comunque aver valore ai fini della concessione delle attenuanti generiche, in vista dell’attività particolarmente odiosa svolta dal prevenuto, e che ha determinato la [ill.] procedere in ordine alle imputazioni di furto per insufficienza di prove.

ANNO:

1946

TRIBUNALE:

Corte di assise straordinaria di Genova

PRESIDENTE:

Cusarra Davide

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Arresto,

ACCUSATI:

D. Bruno

VITTIME:

Cavaglione Emanuele
Maestra sconosciuta
Segre Margherita

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Genova, Corte di AssiseStraordinaria di Genova, Sentenze 1946

BIBLIOGRAFIA:

Andrea Casazza, La beffa dei vinti, Il Melangolo, Genova, 2010