C. Salvatore

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Gli imputati fratelli C. Vittorio e C. Salvatore furono denunciati per collaborazionismo politico da Cavaglione Giorgio per essere stati causa della cattura dei suoi genitori il 7 Marzo 1944, quali ebrei, e che venivano eliminati col barbaro sistema dei gas asfissianti, appena internati in Germania. I C. coabitavano in Pegli, ove i Cavaglione esercivano uno stabilimento di detersivi. In seguito alla persecuzione razziale, costoro si rifugiarono a Firenze, nella fine del 1943, affidando sei cassette contenenti effetti di vestiario e una pelliccia alla loro commessa S. Anna Letizia, che ne godeva la massima fiducia, nonché delle altre cassette contenenti argenteria, a certi Muraro. Poco dopo la loro partenza, i Cavaglione si preoccuparono di subaffittare l’appartamento da essi già occupato in Pegli, ai C., [ill.] al riguardo alla S., e per tramite della famiglia Marchetti. Ciò lascia logicamente presumere che i Cavaglione conoscessero già i C. e smentisce quindi [ill.] del C. Vittorio di averne invece fatta la conoscenza soltanto quando i Cavaglione si recarono a Pegli nel Marzo 1944, e del Salvatore di averne fatto conoscenza soltanto dopo la loro cattura, alla Casa dello Studente. La sublocazione progettata non fu conclusa, sebbene i C. si fossero dichiarati a ciò disposti, perché l’amministratore del caseggiato avrebbe loro fatto presente che l’appartamento era già stato segnalato alle S.S. tedesche come occupato da famiglia ebraica, e quindi posto sotto sequestro, non solo, ma quasi completamente svaligiato dalle stesse S.S. (deposizione Civardi). Frattanto i C. fecero credere alla S., profittando di tale occasione, di avere seguito dal detto amministratore che ad una donna erano state affidate in deposito dai Cavaglione delle cassette. La S. dapprima nulla rispose, ma in seguito, avendole i C. rinnovato tale discorso, confidò loro di essere la depositaria di sei cassette e una pelliccia dei Cavaglione, e ciò per timore di incorrere in rappresaglie. I C. si offersero allora di toglierla dall’imbarazzo, dichiarandosi pronti a custodire le cassette e la pelliccia, senza alcun pericolo, perché avevano delle conoscenze presso le S.S. tedesche, e ritirarono difatti essi stessi le cose depositate. Trascorsa appena una quindicina di giorni, i C. fecero spargere la voce che le S.S. tedesche avevano sequestrato e si erano impossessati delle cassette. Di ciò, allarmata la S., chiese spiegazioni ai C. i quali, nel confermare la falsa circostanza, si giustificarono asserendo che ciò era potuto accadere perché le S.S. avevano visto eseguire il trasporto presso di essi C., e ne erano state informate da delatori. La S. si affrettò quindi a rendere edotti di ciò i coniugi Cavaglione a Firenze, i quali, preoccupatissimi, si precipitarono a Genova ove giunsero il 5 Marzo 1944, per correre ai ripari, prendendo alloggio presso i loro amici Morando. Già in precedenza, il figlio dei Cavaglione si era recato per l’avv. Affermi i Genova per sollecitare la restituzione delle cassette dai C. Nello studio del legale si era recato il C. Salvatore dichiarando che le S.S. tedesche avevano tutto [ill.], ma nel contempo raggiungendo, non [ill.], che ad ogni modo avrebbe parlato col fratello, allora assente a Milano, per seguire la sentenza. I Cavaglione a loro volta avevano rinnovato la loro insistenza presso l’avv. Affermi, appena giunti a Genova, e manifestato allo stesso il loro intento di recarsi a conferire coi C. a Pegli. Sebbene sconsigliati dall’avvocato, per il pericolo al quale si sarebbero esposti, i Cavaglione vi si recarono ugualmente, la mattina del 7 Marzo 1944, diffidando i C. a restituire il deposito, sotto minaccia di denuncia per appropriazione indebita, e a dare una risposta definitiva entro le ore 15 del giorno stesso al numero telefonico che corrispondeva all’abitazione Morando. Verso le ore 14.30, invece di ricevere la risposta sollecitata, ricevettero la visita di certo D., noto spione addetto alla persecuzione razziale presso la Casa dello Studente, e di altri due agenti, rimasti sconosciuti, che catturarono subito i Cavaglione, sebbene fossero muniti di carte d’identità falsificate, nonché il Prof. Affermi Ernesto, fratello dell’avvocato, che si trovava nell’abitazione, e che fu peraltro alla sera rilasciato. Il Morando, assente, fu catturato il giorno successivo, e liberato dopo quattro giorni. Alla Casa dello Studente i Cavaglione manifestarono subito al Prof. Affermi, al Morando e ai coniugi Muraro il loro convincimento che causa della loro cattura fossero stati i C.. Nel loro interrogatorio poi i Cavaglione, forse perché già presagi della loro tragica fine, e per timore che i delatori profittassero dei loro averi, denunciarono spontaneamente alle S.S tedesche che presso i C. avevano in deposito sei cassette e una pelliccia, e presso i Muraro due cassette di argenteria. E fu soltanto in conseguenza di tali dichiarazioni, che le S.S tedesche si recarono a ritirare il tutto presso i depositari, compresa la pelliccia per la S. che l’aveva ritirata dai C., e dopo avere chiarito la contestazione insorta circa il numero esatto delle cassette. I C. negarono di avere avuto un abboccamento con i coniugi Cavaglione il giorno precedente o la stessa mattina della loro cattura, e quindi di avere conosciuto il loro provvisorio recapito in Genova, C. di avere sollecitato alla S. la custodia delle cassette. Ammisero soltanto di essere stati sollecitati dall’Avv. Affermi alla restituzione. La S., i fratelli Affermi, il Morando confermarono le loro versioni nei sensi come sopra riassunti. La teste G. Renata in M. che era stata per pochi giorni detenuta. Alla Casa dello Studente, depose che la S. le aveva chiesto consiglio circa la consegna delle cassette ai C., e che essa teste le aveva risposto affermativamente, essendosi i Cavaglione dimostrati già disposti a sublocare l’appartamento. La teste specificò pure che la Cavaglione sospettava i C. responsabili della sua cattura e del marito, perché ad eccezione di pochi fidati amici, erano stati i soli a sapere del detto recapito di essi coniugi, e perché era sorta fra di loro grave questione circa la restituzione del deposito. Risulta infine dagli atti che il C. Salvatore fu per quattro volte a conferire al reparto persecuzione razziale presso la Casa dello Studente nei giorni 31 marzo, 5 e 11 aprile 1944 (f. – 24-27), e che nei confronti di entrambi fu dichiarato estinto per amnistia il reato di appropriazione indebita con sentenza 20-12-1932 del Giudice Istruttore di Genova –

Diritto

Sebbene si tratti di processo indiziario, le risultanze sono talmente collegate da un nesso logico, da non lasciare nessun dubbio sulla responsabilità incorsa da entrambi gli imputati per il reato di collaborazionismo politico come loro ascritto, e che sarebbe tuttavia rimasto estinto per amnistia, se non fosse contestualmente emerso che lo scopo di C. per il movente determinante, preordinato dalla loro attività delittuosa.

Entrambi gli imputati rimasero sempre associati nella triste vicenda che trasse a tragica fine i coniugi Cavaglione, non solo in epoca immediatamente anteriore alla cattura di costoro, ma nella stessa mattina in cui questa avvenne, in guisa che, si può, con sicura coscienza dedurre e affermare che la loro azione per quanto meno con causa efficiente dell’evento clamoroso, se per conseguirlo, sollecitarono direttamente o indirettamente, a mezzo del personale preposto alla persecuzione razziale, l’intervento del D., già condannato fra l’altro, da questa Corte (Sez.1) con sentenza 22/2/46, non per relazione contro i Coniugi Cavaglione, ma per aver proceduto alla loro cattura.

L’Avv. Affermi, stimato professionista di questa città, ha messo in chiara evidenza la contesa insorta fra i coniugi Cavaglione ed entrambi gli imputati, per la restituzione del deposito, e che i Cavaglione, disattendendo il suo consiglio, ebbero effettivamente un abboccamento con gli imputati a Pegli, nel mattino stesso della cattura come sopra avvenuta, e soggiungeva che i coniugi Cavaglione attendevano una risposta definitiva degli imputati per le ore 15, a mezzo telefonico.

Tale circostanza fu suffragata dal concorde testimoniale Affermi, Morando, Gambino, Muraro, che ebbero inoltre, ripetesi, la immediata compiacenza dei Cavaglione di essere stati traditi dai C.

Entrambi gli imputati furono spinti ad agire, non solo per scongiurare la minaccia dell'altro denuncia, ma per impossessarsi del deposito, e una tale causa fu adeguata e sufficiente a determinare la delazione, corredata da tutti i coefficenti necessari per il [ill.] e la identificazione dei coniugi Cavaglione, il che di fatti avvenne nelle circostanze di tempo, luogo e modo senza cennate. E l'evento così preordinato e attuato, fu possibile, in quanto i coniugi Cavaglione ebbero la grave imprudenza, spiegabile soltanto con il disappunto e la preoccupazione di non essere riusciti a rientrare in possesso del loro deposito, di fornire agli imputati il numero telefonico facilmente identificabile, come corrispondente all'appartamento Morando nonché [ill.], onde la stessa difesa finì per riconoscere la la non efficienza della deduzione. Oltre a ciò, la voce infondata posta sugli imputati la sottrazione del deposito, in epoca anteriore al rinvenimento e sequestro, nonchè la loro negativa, stata smentita dalla S., di aver sollecitato il trasferimento a loro mani del deposito stesso, stanno a confermare che chi avevano maturato il proposito di impossessazione, e che il delitto di collaborazionismo fu da essi compito a scopo di lucro, il che costituisce tassativa eccezione sull'applicazione dell'amnistia (art. 3 Dr 22.6.46.n°4).

Tale scopo rimase altresì suffragato dalla contraddizione in cui caddero, laddove ebbero dapprima ad assicurare la S. che nessun pericolo avrebbero corso per avere conoscenze presso le S.S. Tedesche, e a soggiungere di poi che il deposito sarebbe stato affidato a certo comm. Battaro, mai rintracciato, e di cui non è possibile dare alcuna indicazione.

I precedenti penali, per entrambi gli imputati, nonché la loro capacità a delinquere in genere, affermata implicitamente dall'avv. Affermi, pur nel suo doveroso riserbo professionale, le frequenti visite sospette del C. Salvatore alla Casa dello Studente, in epoca immediatamente successiva al fatto, forniscano sostanziali elementi sfavorevoli sulla loro personalità.

Gli imputati agirono con coscienza e volontà di favorire la politica razziale del nazifascismo, per scopo di lucro, non incompatibile con quello eventuale della vendetta.

Integro pertanto rimase il reato ascritto, in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi.

La gravità dell'azione delittuosa, seguita dal mezzo subdolo, insidioso adoperato, e dalle conseguenze derivatene, e di cui gli imputati avevano, pur avuto chiara precisione, nonché la loro personalità come sopra emersa, consigliano alla corte di far uso del suo potere discrezionale di accordare le attenuanti generiche.

Dal complesso delle risultanze non emerse invece alcun elemento ad esse favorevole, ma soltanto una perspicace ignobile avidità, a danno i perseguitati ebrei.

Si stima congruo commminare la pena nel minimo di anni 10 di reclusione, trattandosi di minimo già elevato. A tale pena dev'essere applicato il condanno di anni 5 ai sensi dell'art. 9 D.P. 22.6.46 n°4

Del reato di cui all’art.5 D.L.L.27/7/44 n.159 e 110 C.P. in relazione all’art.58 C.P.M.G. per avere, posteriormente all’8 Sett. 43 e sino al 25 Aprile 45, collaborato col tedesco invasore favorendone i disegni politici e più particolarmente per avere, a fine di lucro, in correità fra di loro, provocato l’arresto dei Coniugi israeliti Cavaglione che furono deportati in Germania dove decedettero entrambi nei campi di concentramento.

Dichiara Salvatore e Vittorio C. colpevoli del reato loro ascritto in concorso dell’estremo dello scopo di lucro, e visti gli art.58 C.P.[…]; 5 D.L.L.27/7/44 n.159; 483-488 C.P.P.; li condanna ad anni 10 di reclusione ciascuno, e in solido alle spese. V° l’art.9 D.P. 2/6/46 n.4 Dichiara condonati anni 5 della pena inflitta.

ANNO:

1947

TRIBUNALE:

Sezione Speciale di Corte D’Assise di Genova

PRESIDENTE:

Risso Leonida

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Arresto, Delazione,

ACCUSATI:

C. Salvatore
C. Vittorio

VITTIME:

Cavaglione Emanuele
Segre Margherita

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Genova, 

BIBLIOGRAFIA:

Andrea Casazza, La beffa dei vinti, Il Melangolo, Genova, 2010