N. Carmelo

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La Corte d’Assise in esito all’odierno pubblico dibattimento sentito il P.M. ed il difensore dell’imputato contumace.

Fatto

L’israelita Costanza Sermoneta in Di Castro, abitante in Roma in via Ottaviano n.[...], con esposto al Commissario per le sanzioni contro il fascismo denunziò in data 15 settembre 1944 N. Carmelo, avente negozio in via Ottaviano […], per collaborazionismo col tedesco invasore. Premesso che il N., quale fascista accanito, il 25 luglio 1943 era stato bastonato da antifascisti ed aveva avuto danni alle vetrine del suo negozio ad opera degli stessi, narrò che successivamente, spalleggiato dai sui compari di palazzo Braschi, aveva iniziato una accanita campagna contro gli ebrei esponendo nel suo negozio specialmente nei giorni festivi giornali e manifestini con figure grottesche, offensive per essi ebrei; che aveva minacciato a mano armata di rivoltella il di lei fratellastro Umberto Spizzichino; che durante il periodo di occupazione nazista, come ella aveva visto stando dietro le persiane dell’appartamento di via Ottaviano 25, soprastante al negozio del N., nel quale appartamento ella aveva vissuto segregata per sottrarsi alle razzie tedesche, il medesimo riceveva ogni mattina nel suo negozio due militari tedeschi, ai quali, nell’atto di accompagnarli alla autovettura, indicava qualche negozio di ebrei. Aggiunse che fu costretta ad allontanarsi dal luogo dove erasi tenuta nascosta e dopo di ciò erano stati saccheggiati parecchi negozi di ebrei e la sua casa ed erano stati deportati il figlio Giorgio Di Castro ed il fratellastro Umberto Spizzichino. Ed indicò a testi, quanto all’imputazione di stampe antiebraiche tali Cristiano [ill.] abitante in via Ottaviano, tale Bandini, direttore del negozio di confezioni “La Camense” ed i proprietari del bar posto sulla stessa via al n.17, e quanto alla minaccia in danno del suo fratellastro tale [ill.] esercente latteria in detta via, ed il figlio di lei commesso a nome Pietro.

La pubblica sicurezza, interessata per le indagini, con rapporto 29 dicembre 1944, mentre confermava che il N., sebbene iscritto al fascio solo dal 29 ottobre 1932, erasi dimostrato un fascista accanito al punto che pel questo suo accanimento era stato, alla data del 25 luglio 1943, bastonato da elementi estremisti ed aveva visto danneggiato il suo negozio, consistente in un bar, ad opera degli stessi, ed erasi altresì dimostrato convinto antisemita, tanto vero che durante il periodo nazifascista aveva esposto scritti e manifesti ostili sulla vetrina dell’esercizio, tenne a far presente che nulla era risultato circa i pretesi rapporti politici fra il denunziato con elementi del Pollastrini e che non era stato possibile raccogliere sicuri elementi circa la minaccia in danno dello Spizzichino, non essendo stato l’episodio confermato dai testimoni, indicati dalla denunziante al riguardo, e circa i pretesi rapporti tra esso denunziato e all’appartenente alla banda Pollastrini, Di Paola Francesco, indicato nella denunzia.

Il N., interrogato dal giudice istruttore con mandato di comparizione, mentre ammise di essere stato iscritto al fascio dall’ottobre 1932 e di essere stato, perché tale, aggredito e malmenato dopo il 25 luglio 1943 ed ammise altresì di avere esposto sulle sue vetrine quotidiani e frasi fasciste, spiegando di avere ciò fatto a fini commerciali, cioè, per attirare maggior numero di clienti, negò di avere avuto rapporti con militari tedeschi delle SS e con i fascisti del Pollastrini e di avere minacciato il fratellastro della denunziante. Portato a giudizio di questa Corte con citazione diretta per rispondere di collaborazionismo politico col nemico, l’imputato, benché colpito da mandato di cattura, non si è costituito in carcere, restando in tal modo contumace nel dibattimento odierno, svoltosi a suo carico.

Diritto

Secondo la denunzia della Sermoneta l’imputato avrebbe, durante l’occupazione nazista della città di Roma, collaborato col nemico invasore nell’opera di sterminio della razza ebraica, facendo all’uopo propaganda contro gli ebrei col tenere affisso nel suo esercizio di bar figure oscene e grottesche, [ill.] in dileggio gli ebrei, e coll’indicare a militari tedeschi delle SS, che abitualmente di mattina facevano capo nel suo esercizio, i negozi appartenenti ad ebrei, posti in via Ottaviano, i quali negozi venivano di poi saccheggiati. Inoltre il medesimo avrebbe avuto continui contatti con i fascisti di palazzo Braschi ed avrebbe minacciato con rivoltella Spizzichino Umberto, fratellastro di essa denunziante, il quale, a seguito di delazione da parte di persona rimasta sconosciuto, fu poi deportato ed è a ritenersi sia morto, perché non ancora è stato rintracciato.

Osserva la Corte che nessuno di tali addebiti ha avuto al dibattimento conforto di prova, sulla quale possa adagiarsi una sentenza affermativa della responsabilità del N..

Innanzitutto la denunziante, [ill.] a riferire in che consistessero le figure antiebraiche affisse dall’imputato nel suo esercizio, ha dichiarato che si trattava indubbiamente di figure per propaganda antiebraica, ma che non era in grado di ricordare in che almeno qualcuna consistesse. E al riguardo i testi Pignotti Filomena, Pignotti Luigi e Ramaccioni Pietro (il teste Bandini è stato addirittura negativo) hanno affermato di avere visto nel detto esercizio affisso giornali, manifestini e figure contro gli anglo-americani e contro gli ebrei, ma nulla di preciso hanno deposto. Di essi solo il Pignotti Luigi ha di avere notato una figura, che poi lo aveva colpito, raffigurato l’uccisione dell’ammiraglio napoletano Caracciolo, avvenuta, come è noto, ad opera degli inglesi nel 1799, il che dimostra che le altre, da lui viste, [ill.] offesa per gli ebrei, dovessero essere indistinguibili, altrimenti sarebbero rimaste impresse. Comunque la generica circostanza di avere fatto propaganda antiebraica, non suffragata da elementi meno generici, non è tale da potere consigliare per grave responsabilità per collaborazionismo, in cui l’imputato sarebbe incorso.

Lo stesso è a dirsi dell’avere avuto il N. continui contatti con militari delle SS tedeschi, ai quali egli, allorquando, abitualmente di mattina, li accompagnava alla vettura automobile, indicava i negozi appartenenti a commercianti ebrei, posti in via Ottaviano. Detta circostanza è stata riferita dalla sola denunziante: non è stata ammessa da alcuno dei testi escussi (Pignotti, Romacciani, Bandini), dei quali però la Pignotti Filomena, mentre ha escluso che militari tedeschi ogni mattina si fermassero nel Bar del N., ha [ill.] che prima del saccheggio del negozio della Costanza Sermoneta alcuni tedeschi erano entrati in quel bar, ma non ha precisato la ragione di tale visita e se a saccheggiare quel negozio fossero stati quei militari tedeschi, il che avrebbe fornire una certa prova sull’accusa di avere l’imputato indicato ai tedeschi almeno uno dei negozi, appartenenti a ebrei, da saccheggiare. Certo è però che Costanza Sermoneta, proprietaria del negozio saccheggiato nelle circostanze indicate dalla teste, è proprio la denunziante e costei, se davvero la visita dei tedeschi al N. avesse avuto una qualche relazione col saccheggio del suo negozio, l’avrebbe posto in rilievo nell’esposto di denunzia.

Per altro, a parte che l’imputato ha dimostrato a mezzo della teste [ill.] di non essere solito stare nell’esercizio di mattina e che quindi fosse falso di avere accompagnato sulla strada i tedeschi, che ogni mattina frequentavano il suo esercizio, non è verosimile che egli, l’imputato, fosse solito dare proprio sulla strada, coram pupolo, come ha asserito la Sermoneta, indicando ai tedeschi circa i negozi da saccheggiare di ebrei.

Certo è inoltre che nessun elemento probatorio è emerso circa continui contatti avuti dal N. con i fascisti di palazzo Braschi e che circa la denunziata minaccia a mano armata, stata commessa dal medesimo in danno dello Spizzichino Umberto, non sono emerse prove certe e sicure. La stessa denunziante non ha potuto dare indicazioni circa il tempo, in cui il fatto avvenne, e circa la causale, per la quale ebbe luogo. Né tali indicazioni sono state fornite dai testi [ill.] Pignotti, Bandini e Ramaccioni, in quanto Pignotti Luigi, il Bandini e il Ramaccioni nulla seppero al riguardo e la Pignotti Filomena ha affermato che, stando a casa, sentì del chiasso in [ill.] e nell’altro percepì, e ciò ebbe a riferire ai fratelli Spizzichino quando nel mattino seguente fu richiesta di notizia.

Riassumendo, sulla scorta di questi rilievi, ancorché si voglia ritenere essere stato l’imputato un accanito fascista, come sembra sia stato, al punto da essere stato da elementi antifascisti dopo il 25 luglio 1943 percosso, perché tale, e dall’averne danneggiato l’esercizio per la stessa ragione, a suo carico non sono emersi elementi sufficienti che ne possano autorizzare l’affermazione della colpevolezza per il gravissimo reato di collaborazionismo col tedesco invasore e per l’atto di denunzia.

a) Del reato di cui all’art. 5 D.L.L. 27.7.1944 n.159 in relazione all’art. 58 C.P.M.G. di guerra, per avere, posteriormente all’8 settembre 1943, collaborato con il tedesco invasore, facendo propaganda antiebraica e antinglese e fornendo ai tedeschi indicazioni per il saccheggio di negozi appartenenti ad ebrei.

b) Del reato di cui agli art. 612, 339 C.P. pen.. per aver minacciato con una pistola in pugno Umberto Spizzichino

P.Q.M.

Visto l’art. 479 c.p.p., assolve N. Carmelo dalle imputazioni ascrittegli per insufficienza di prove.

ANNO:

1946

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Roma

PRESIDENTE:

Galanti Salvatore

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione,

ACCUSATI:

N. Carmelo

VITTIME:

Di Castro Giorgio
Sermoneta Costanza
Spizzichino Umberto

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Roma, Corte di Assise Penale, sentenze 1946-1947