Z. Angela

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Con esposto in data 6 marzo u.s. la questura locale riferiva che la S. con l’ausilio della Z. erasi al tempo della dominazione nazifascista adoperata per la cattura dell’ebreo Tedeschi Aldo. L’imputazione che ne seguì, pose in luce che il capo dell’Ufficio affari ebraici, Mastelloni, appreso dalle due donne il recapito del Tedeschi, vi aveva mandato, per catturarlo, il suo sgherro Pastacaldi con alcuni militi repubblicani, che non l’avevano trovato e, quindi, nella ipotesi che si fosse rifugiato presso i suoceri Graziani, anche ebrei, vi si erano recati e, dopo la perquisizione intentata della casa, avevano tratto in arresti i due coniugi e tre loro figlioli, poi consegnati ai tedeschi e deportati in Polonia, donde poi la giovane Graziani Mary è ritornata.

E’ facile affermare [ill.] fatti, che autorizzavano a [ill.] dei tre il fine di lucro, onde l’inapplicabilità dell’amnistia disposta col D.L. 22 giugno u.s. […]

Ciò premesso il collegio rileva e osserva:

la S. ebbe occasione di affittare due stanze della sua abitazione alla Z. ed alla cognata di costei C. Tosca. Costoro si offrirono di adoperarsi per ottenere la discriminazione dell’amante di lei, D. S. Bruno, ebreo, ma coniugato con la cattolica Gandolfi Giuseppina, all’uopo la Z. presentò la S. all’avvocato Sandolini, fascista repubblicano fra i più in vista, che consigliò loro di rivolgersi al Martelloni. Costui, a sua volta, ascoltate le due donne, s’interessò della cosa, ma non nel senso desiderato dalle postulanti, perché fece subito arrestare il D. S. e trattenne per qualche giorno la S., sospetta in quanto patrocinatrice di ebrei e di origine slava. Allorchè la S. fu tornata a casa le due cognate le promisero la liberazione del D. S. a condizione che si occupasse per scoprire il rifugio del Tedeschi, ritenuto dal Martelloni preda ben più importante in quanto conoscitore del nascondiglio, ove era stato riposto il tesoro della Sinagoga. La S., convinta che quello fosse l’unico modo per riavere l’amante, indagò e le sue indagini la portano in via della Porcellana, ove in casa dei coniugi [ill.] il Tedeschi ed i suoi familiari avevano trovato rifugio. Si recò pertanto in quella via, accompagnata dalla Z. e dalla C., chiese ed ottenne che fosse indicata l’abitazione del Tedeschi, e mente le accompagnatrici prudentemente rimanevano ad attenderla in strada ad una certa distanza, ella impudentemente vi si recò col pretesto di portare al Tedeschi saluti di suoi correligionari, non senza avvertirlo che la casa dei suoceri era vigilata ed esortarlo perciò a rimanere dove erasi nascosto.  Le esortazioni in tal senso più volte reiterate finirono per mettere in sospetto il Tedeschi, il quale, quando la donna fu andata via, uscì per vigilarne le mosse e di lontano potette vedere che si accompagnava con altre donne, che l’attendevano. Egli pertanto dopo poco abbandonò quella casa, per modo che gli sgherri mandati in seguito dal Martelloni, che aveva appreso l’indirizzo di lui dalle due donne, non lo trovarono e, convinti che dovesse esserci perché “le loro spie avevano lavorato bene”, posero a soqquadro la casa e dopo qualche giorno, sperano di trovarlo presso i suoceri perquisirono la casa di costoro li posero in arresto con tre figlioli, fra i quali la Mary.

Tutto ciò risulta non solo dalle dichiarazioni del Tedeschi, della Graziani, dei loro familiari, delle persone che indicarono la casa di via della Porcellana e di coloro che vi abitavano, ma anche dalla dichiarazione, resa all’autorità di P.S. dalla S. […]

In udienza la detta imputata, comprendendo la gravità di quella dichiarazione, ha tentato far credere di essersi recata dal Tedeschi per renderlo edotto del pericolo che correva e di non aver svelato al Martelloni il recapito di lui, che avrebbe rivelato solo al Pastacaldi quando però il Tedeschi lo aveva già abbandonato.

Ma siffatta ritrattazione non è attendibile in quanto mentre è accompagnata da plausibile giustificazione della gravità della precedente confessione, non spiegherebbe il motivo dell’interessamento spiegato dall’imputata per venire a conoscenza del recapito del Tedeschi e dei suoceri di lui.

La Z., che ha avuto fin dal primo momento la sensazione della gravità dell’accusa, ha ammesso solo di aver accompagnato l’amica dal Martelloni per patrocinare la causa dell’amante di lei. Ella ha negato di aver conosciuto prima il Martelloni, di avergli parlato in altra circostanza, di aver da lui ricevuto l’incarico di indagare circa il recapito del Tedeschi e di interessarne la S. con la promessa di liberare l’amante e finalmente (in ciò smentita energicamente dalla coimputata) ha negato di aver accompagnato costei in via della Porcellana.

Senonché siffatte negative contrastano non solo con le dichiarazioni della S., ma anche con quella del Pastacaldi […].

Costui, che è incorso in molte inesattezze un po’ per difetto di memoria ed anche e principalmente per nascondere o alterare i fatti, che gli venivano contestati, ha ammesso di aver visto le due donne nell’ufficio del Martelloni quando vi si erano recate per perorare a favore dell’ebreo D. S. ed ha identificato proprio in una delle due e precisamente nella bruna (la Z.) colei che, dopo la mancata cattura del Tedeschi, alle rimostranze del Martelloni rispondevagli che era da attribuire [ill.]  di lui se il catturando aveva potuto mettersi in salvo […]. A ciò si aggiunge la testimonianza di altri, in conformità di quanto ha dichiarato la S., hanno deporto che costei in via del Porcellana era stata accompagnata da altra donna, cioè dalla Z. […].

E’ certo pertanto che la tentata cattura del Tedeschi e la cattura dei cinque Graziani si deve all’opera di spionaggio delle due imputate e forse di qualche altro, che non è in causa.

Il delitto però sarebbe estinto per amnistia, ove non risultasse il fine di lucro ad esse contestato.

Vari fatti autorizzano a ritenere che la Z. era ben conosciuta dal Martelloni e che esercitava lo spionaggio per conto dell’Ufficio, cui egli era preposto. Ha riferito la S. che in un litigio sorto fra le due cognate la C. aveva rinfacciato alla Z. di essere confidente del Martelloni e ha riferito il D. S. di aver saputo dalla Scavezzon che al [ill.], il quale comunicava l’impossibilitò del capo ufficio di riceverle, la Z. aveva imposto di fare il suo nome e che solo allora il Martelloni le aveva ricevute. Né meno importante è il fatto che all’atto della perquisizione delle due donne, che precedette il loro fermo dopo la liberazione, fu ritrovata addosso alla Scavezzon una da favorire come segno di riconoscimento per gli appartenenti alle SS, al servizio del Martelloni (testi Tedeschi e Pollanti), sigla che la Scavezzon disse appartenere alla Z. (ma non poteva anche essere [ill.] data a lei, che aveva accettato l’incarico di scoprire l’incarico del Tedeschi) e che presso la Z. furon trovate molte fotografie degli sgherri del famigerato Carità, capo delle SS italiane.

Né manca la prova che una promessa di danaro ove fossero state fornite informazioni per la cattura del Tedeschi vi fu e che della promessa fu poi reclamato l’adempimento. Ha deposto il teste Graziani [ill.] ed il citati teste Pollanti […] che nella occasione del fermo delle due donne fu rinvenuta una lettera di Martelloni (purtroppo allegata ad altri documenti inviati dalla Questura dagli elementi del C.L.N., che procedettero all’interrogatorio delle imputate, e dispersi) per la quale egli prometteva un premio di cinquemila lire e la liberazione dell’ebreo D. S. in cambio delle notizie necessarie per procedere all’arresto del Tedeschi ed ha deposto la teste Marangoni di aver visto tale biglietto, per essere stato mostrato dalla S. in occasione di un discorso a proposito dell’interessamento di costei per la liberazione dell’amante D. S..

Ma la prova definitiva che, se non la S., interessata alla liberazione dell’amante, cui era attaccata al punto di recarsi di frequente, per rivederlo, a Fossoli, ove egli trovavasi in campo di concentramento (teste Curiel), [ill.] la Z. abbia agito per lucro è data dalla deposizione di Pesaloro Giorgio, agente al servizio delle SS di Carità e di Martelloni, il quale ha raccontato di aver incontrato un giorno nell’ufficio dell’autista Selmi Achille, altro sgherro di Martelloni, due donne che chiamavano a vicenda Lina e Tosca, le quali lamentavano che, malgrado avessero fatto trovare roba e libri di un certo Tedeschi (forse parte del tesoro della Sinagoga, sul quale il Martelloni finì per mettere le mani), il capo ufficio affari ebraici non aveva mantenuto l’impegno di retribuirle congruamente, ma aveva loro corrisposto solo cinquecento lire.

Il Pesaloro non ha riconosciuto nella Z. Angela, detta appunto Lina, la Lina vista nell’ufficio del Selmi, ma ciò si spiega agevolmente ove si pensi che egli, imputato di fatti analoghi a quelli per cui si procede, teme ritorsioni. La prova poi che quelle due donne altre non fossero che la Z. e la cognata di Tosca C. è data non solo dalla omonimia fra le due cognate le due sconosciute ma anche dalla precisazione che quelle due donne abitavano in via [ill.] 47, dove appunto erano la Z. e la C. in subaffitto nella casa della S., precisazione fornita dallo stesso Pesaloro nell’interrogatorio (di cui è in atti un estratto) reso, in occasione del processo a suo carico, al P.M. di questa sezione speciale. […]

Imputate del reato di cui all’art.5 D.L.L. 27 luglio 1944 n.159 in relazione all’art.54 C.P.M.G. perché in Firenze dopo l’8 settembre 1943, collaborarono col nemico invasore del territorio nazionale e, tenendo intelligenza col comando di Polizia germanico particolarmente incaricato delle ricerche di cittadini di razza ebraica fornivano al medesimo informazioni utili per rintracciare e arrestare alcune persone di razza ebraica dietro compenso di somme di denaro.

P.Q.M. La Corte dichiara Z. Angela nei Colanti colpevole del delitto, di cui gli art. 5 D.L.L. 27.7.1944 n.159 in relazione all’art. 58 C.P.M.G. […] la condanna alla pena di anni dodici di reclusione, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, al pagamento delle spese processuali e di quelle occorse pel suo mantenimento in carcere durante la custodia preventiva, al risarcimento dei danni in favore della parti civili Tedeschi Aldo e Graziani Mary […]

Di non doversi procedere a carico di S. Anna […] il reato ascrittole estinto per amnistia.

ANNO:

1946

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Firenze, Sezione speciale  

PRESIDENTE:

Moscati Francesco

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione,

ACCUSATI:

S. Anna
Z. Angela

VITTIME:

D. S. Bruno
Graziani Haim Vitale
Graziani Maria
Graziani Raffaele
Russo Benvenuta
Tedeschi Aldo

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Firenze, Sentenze della Corte di Assise Speciale