T. Giuseppina

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Il capitano Aldo Levi di razza ebraica per sottrarsi alle persecuzioni razziali, che dopo l’8 settembre 1943 furono decretate dal governo repubblicano per ordine del padrone tedesco, credette opportuno di trasferire la sua abitazione da via Bovio […], ove era conosciuto, in un appartamento ammobiliato di via Cinque Giornate […] terreno, che male gliene incolse perché nello stesso stabile all’ultimo piano abitavano insieme col rispettivo padre e marito la T. e la M., fanatiche per attaccamento ai tedeschi ed odio agli ebrei.

Di tali sentimenti il Levi ebbe la prova quando, trovandosi in periodo di allarme con gli altri inquilini sotto l’atrio del fabbricato, alle sue esortazioni di non temere perché certamente l’obiettivo dei bombardieri non poteva essere che la strada ferrata, si sentì rispondere dalla Masi che gli aeroplani angloamericani tiravano invece alle case di abitazione, che essa aveva appunto perso una sua cugina, perita a Poggibonsi per bombardamento, che di ciò teneva responsabili tutti gli ebrei e che era inutile esso Levi tentare di nascondersi assumendo il cognome di sua moglie, poiché il suo cognome e la sua origine erano perfettamente da lei conosciuti.

Dopo pochi giorni da tale incidente elementi delle SS tedesche fecero irruzione nella casa del Levi e catturavano lui e la madre, che, anch’essa nascosta sotto falso nome in una camera mobiliata di via Lamarmora, era venuta a visitarlo. I due disgraziati furono condotti alla sede di quel corpo di polizia in via Bolognese, donde il Levi, usando astuzia e profittando di un momento in cui la vigilanza degli sgherri era venuta a mancare, poteva fuggire, mentre la madre fu poi deportata in qualche campo di concentramento, ove con molta probabilità ha lasciato la vita.

Finalmente negli ultimi giorni di luglio, quando gli oppressori, per l’avvicinarsi delle truppe alleate, distrutti gli acquedotti e gli impianti elettrici, si preparavano a abbandonare la città, il Levi, che, per assistere la moglie prossima a partorire, era tornato a casa dalla montagna, ove aveva trovato rifugio presso le bande partigiane, si sentì apostrofare con epiteti “ebreaccio e morto di fame” dalle due donne, che, nel ritornare a casa con un carico di acqua attinta ai pozzi, avevano trovato sprangato il portone ed avevano pensato che lui l’avesse chiuso.

Il Levi, convinto che la cattura sua e della madre fosse stata provocata da delazione di loro, le ha denunziate e, dopo sommaria istruzione, esse sono state portate a rispondere del delitto in rubrica innanzi a questa Corte.

Le donne, pur ammettendo la loro simpatia per l’invasore e la T. la sua qualità d’iscritta al P.F.R., hanno cercato di minimizzare le loro relazioni coi militari tedeschi, sostenendo di aver ricevuto in casa taluni di essi perché amici del fidanzato di essa T., allogeno di Merano. Hanno poi, in confronto con tutti i testimoni e con la logica (poiché il Levi, che aveva ragione di nascondersi, non avrebbe mai provocato discussioni incresciose e incidenti spiacevoli) attribuendo a costui la colpa dei due episodi ricordati, soprattutto negato che la cattura di lui e della madre si fosse resa possibile per la loro delazione.

[ill.] purtroppo le circostanze nelle quali fu compiuta quella operazione di polizia, giusta il racconto del Levi e della moglie, della sincerità dei quali non vi è ragione di dubitare, eliminano ogni dubbio circa la loro responsabilità.

L’infelice signora mentre si appressava alla casa del figlio veniva salutata dalle nipotine col grido festoso “nonna, nonna!”; tale grido era raccolto dalla T., che si trovava alla finestra; costei scendeva subito e si fermava al portone, qualche istante dopo usciva di casa la madre che si dirigeva verso piazza della Vittoria, finalmente dopo circa 20 minuti facevano irruzione in casa Levi i birri tedeschi, che domandavano della signora Levi ed alla moglie del capitano (subito presentatosi, non correndo alcun pericolo perché ariana), precisavano che non lei era la ricercata, ma la signora anziana, poco prima giunta in casa, e infine, ottenuta la presenza della ricercata, alla carta di identità con falso nome, da lei esibita, negavano prontamente ogni credito, affermando con sicurezza l’origine ebraica della esibitrice.

Ora, se da scartare l’ipotesi che i tedeschi fossero sulle piste della signora (perché in tal caso si avrebbero fermati in istrada) chi se non le due donne, che ne avevano osservato l’arrivo e che l’avevano identificata pel saluto a lei rivolto dalle due bimbe, avrebbe potuto fornire ai birri informazioni tanto precise da metterli in grado di dirigersi senza alcuna incertezza proprio all’appartamento del Levi, di designare la ricercata come la signora anziana giunta poco innanzi, di respingere finalmente, senza procedere alla più piccola indagine, la veridicità di un documento rilasciato da un ufficio pubblico e materialmente regolarissimo?

Del resto le due imputate, che hanno inteso il racconto dei coniugi Levi, nulla hanno saputo dire a loro discolpa, se non che seppero della cattura della signora parecchio tempo dopo da una loro amica, e il solerte difensore si è limitato a porre in rilievo la brevità dell’intervallo fra l’uscita della Masi e l’arrivo degli sgherri per dedurre che quel tempo era insufficiente alla prima per raggiungere l’ufficio di polizia in via Bolognese e ai secondi per portarsi di là a via delle Cinque Giornate.

Ma, a parte che la città era popolata di tedeschi a tutto disposti, [ill.] pure per qualcosa le automobili e i telefoni e non va trascurato che ai criminali premeva di agire con rapidità poiché, se la ricercata avesse abbandonata quella casa, improbabile e comunque meno facile ne sarebbe stata la cattura.

L’eliminazione degli ebrei era nel programma politico del nemico, onde niun dubbio che nel fatto si ravvisi il delitto contestato.

La misura della pena va determinata come in dispositivo, tenuto conto della gravità dell’operato delle due donne, ma anche dei loro buoni precedenti.

Conseguenze della condanna sono l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, le spese, la confisca dei beni.

Imputate del delitto di cui agli art. 5 del D.L.L. 27 luglio 1944 n.159 e 58 C.P.M.G., per avere in Firenze nel 1943-1944, durante la occupazione tedesca, collaborato con l’invasore svolgendo particolarmente opera di delazione che portava alla cattura ed alla deportazione di appartenenti alla razza ebraica, esaltando in accesa propaganda, l’eroismo dei tedeschi, che – a loro dire – versavano il sangue per noi, sprezzando i nostri uomini, che se ne stavano rintanati in casa, anziché combattere contro gli Alleati o recarsi a lavorare in Germania.

P.Q.M.

La Corte

Dichiara T. Giuseppina e M. Adriana colpevoli del delitto loro attribuito […]

Le condanna alla reclusione per la durata di anni dodici, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, al pagamento delle spese processuali e di quelle del loro mantenimento durante la custodia preventiva.

ANNO:

1945

TRIBUNALE:

Corte di Assise Straordinaria di Firenze

PRESIDENTE:

Moscati Francesco

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione,

ACCUSATI:

M. Adriana
T. Giuseppina

VITTIME:

Levi Aldo
Levi Lucia

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Firenze, Sentenze della Corte di Assise Speciale