Ceccherelli

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Il grave procedimento, che ne occupa, ebbe inizio coll’arresto avvenuto il 27 luglio 1944, di Fiorito Giulio, indicato dalla voce pubblica come il delatore e autore dell’arresto degli ebrei Sonnino Pacifico e Perugia Angelo (trucidati alle Fosse Ardeatine) arresto avvenuto in Roma in piazza Monte Savello il 14 marzo 1944. La voce pubblica sembrò suffragata da tale G. Anna, la quale dichiarò di riconoscere nel Fiorito uno dei due individui autori della cattura, e dall’ebreo Di Capua Pace, il quale assicurò che la moglie del Perugia, stata a sua volta arrestata dopo il marzo suddetto e poi deportata le aveva detto di sapere con certezza essere stato il prevenuto l’autore della cattura del marito  ( […]).

Il 27 agosto successivo tale C. Alda accompagnò al commissariato di P.S. Esquilino Policari Giovanni accusandolo in modo generico come delatore di ebrei al comando tedesco.

L’accusa trovò sostegno nella testimonianza dell’israelita Funaro Maria la quale apprese proprio dai catturatori del marito, Marino Angelo, e del padre Funaro Pacifico e cioè da Ceccherelli Renato e Consoli Italo che delatore del di lei marito e padre era stato proprio il Policari, e che costui di lì a qualche tempo ebbe a mostrarle una tessera di informatore dei tedeschi; e nella testimonianza del Pavoncello Leone, secondo il quale il fratello Davide, era stato arrestato in casa della zia D’Elia Assunta su delazione del Policari, siccome era stato detto dai catturatori, liquidati per i nominati Ceccherelli e Consoli, alla D’Elia, alla quale fecero, al momento dell’arresto il nome di Nino il muratore e di questo fornirono i connotati, del tutto corrispondenti a quelli del Policari, persona molto conosciuta dalla D’Elia dimostratasi più volte curiosa di conoscere la località dove i congiunti di lei eransi rifugiati. Inoltre il Policari finì per ammettere di essere stato in possesso di una tessera, tedesca di segnalatore e di averla richiesta per essere esonerato dal servizio del lavoro […].

Il 1° ottobre successivo elementi comunisti condussero al commissariato di P. S. di Porta Maggiore Raucci Raffaele perché accusato da C. Cesare come delatore ai tedeschi di ebrei e come autore della cattura a deportazione di numerosi ebrei, per organo dei quali percepiva lire cinquemila, a ciò colla correità di altri due appartenenti alle SS Germaniche, cioè denominati Ceccherelli e Consoli.

Il C. rilasciò ai comunisti dichiarazione scritta in tali sensi, a tergo della quale il Raucci sottoscrisse dichiarazione colla quale ammetteva di essersi spacciato come delatore delle SS, senza però esserlo, per avere facilitazioni nell’acquisto di mobili sequestrati agli ebrei e che gli venivano offerti dal Consoli e dal Ceccherelli, rispettivamente tenente e maresciallo delle SS tedesche, e ammetteva anche aver avuto come socio in tali affari il Policari col quale divideva gli utili.

Alla P.S. detto Raucci, mentre ammise di essere stato fornito negli ultimi due mesi dell’occupazione nazi-fascista di Roma dal Ceccherelli di un tesserino, rilasciato dalle autorità militari germaniche, col compito di interessarsi della vendita di mobili sequestrati ad ebrei, arrestati da lui e dal Consoli, dal prezzo dei quali egli tratteneva una percentuale, negò di avere fatto delazione di ebrei, poi catturati, e tenne a porre in rilievo circostanze dirette a porre in mala luce il suo accusatore C., il quale era suo secondo cugino e covava rancore verso di lui per averlo fatto arrestare dai tedeschi per gravi fatti da lui commessi […].

A seguito di ciò l’indagini vennero estese alle malefatte dei nominati Consoli e Ceccherelli, a carico dei quali piovvero numerose denunzie per cattura di ebrei e per saccheggio.

La prima di tali denunzie fu quella di Montaldo Rosario, maggiore della P.A.I. durante l’occupazione nazi-fascista di Roma, il quale nella notte del 4 maggio 1944 sventò un colpo dei nominati Consoli, Ceccherelli e Raucci tentato per arrestare sei ebrei francesi alloggiati nella pensione Hasdilin di Via Palestro, ove i medesimi eransi introdotti ed ove egli li seguì. Accertò, attraverso le tessere di riconoscimento esibitegli, che erano appartenenti alle SS Italiane ed ebbe la confessione o dal Raucci o dal Ceccherelli che per ogni cattura di ebrei percepivano un premio di lire cinquemila […].

Dalle indagini esperite dal Commissariato Campitelli circa una denunzia per furto di mobili, patito dall’ebrea Vivanti Sara in Moscati, abitante in Via Portico D’Ottavia n.13 (alla quale erano stati catturati perché ebrei il padre Vivanti Angelo, il fratello Vivanti Giacomo. Il marito Moscati Vito e il cognato Di Consiglio Cesare-tutti immolati alle fosse Ardeatine), venne a risultare che, nel mattino successivo all’arresto dei congiunti della denunziante, irruppero in casa appartenenti alle SS Italiane e tedesche e asportarono la radio e altri mobili. Durante le indagini la P.S. apprese da tale Celani Vittorio che un appartenente alle SS Italiane, durante la spoliazione della casa ebbe a mostrargli uno scritto dal quale risultava che delatore dei congiunti della Vivanti era stato Policari Giovanni e qualche altro […].

Venne in seguito accertato che al saccheggio aveva partecipato il Ceccherelli, il quale insieme a tale Civetti Alceste (a carico di costui si procede separatamente) aveva in precedenza catturato i nominati Vivanti Moscati e Di Consiglio, e dei mobili saccheggiati quelli della camera da letto all’inquilina in un altro appartamento dello stesso stabile.

Terracina Emma, altra ebrea, denunziò il Ceccherelli ed altri due, rimasti ignoti, per avere, profittando che ella ed il marito eransi allontanati di casa per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, saccheggiata la di lei abitazione asportando tutta la mobilia della camera da letto, che avevano fatto trasportare a mezzo del carretto di Saraceno Ferdinando, prima in Via Biscio [Bixio], in una casa di vendite e poi al vicolo del Governo Vecchio ove però le di lei indagini erano venute a risultare infruttuose, avendole assicurato il negoziante di mobili Giuseppe Monti, con magazzino in quel vicolo, di nulla avere acquistato nelle sopra indicate circostanze […]. Altro saccheggio della banda Ceccherelli e Raucci fu denunziato da Astrologo Eleonora […]. I tre di sera irruppero nella di lei casa alla ricerca di uomini da arrestare e, non avendone trovati minacciarono di portare con loro il treenne figliuolo di lei, perché così a loro dire, il padre si sarebbe fatto vivo, e desistettero da tale minaccia a seguito di promessa di molto denaro fatta da Moscati Letizia, cognata di lei, unica persona rimasta in casa col piccolo; ma non mancavano di impossessarsi delle chiavi di casa delle quali si servirono di lì a qualche giorno per entrare nell’appartamento e asportare i mobili della camera da letto che furono trasportati a mezzo del nominato Saraceni pure al vicolo del Governo Vecchio.

Altra denunzia per saccheggio fu sporta contro il Ceccherelli per avere vuotato l’appartamento in Viale Glorioso [...] di Della Seta Angiolino il 12/13/14 dicembre 1943, profittando dell’allontanamento di casa del Della Seta e della famiglia per sfuggire alla persecuzione dei tedeschi, perché ebrei. Furono asportati mobili, tappeti, quadri, vestiari, libri preziosissimi e quanto altro costituiva la ricchezza della casa. Contenenti oggetti da collezione (mobili, quadri di autori e porcellane); il tutto del valore di oltre otto milioni. Il Ceccherrelli non mancò inoltre di porsi con altri alla ricerca della famiglia Della Seta, evidentemente per catturarla, e all’uopo si recò in contrada Boccea, in una casa colonica di proprietà di essa famiglia, e ivi fermò il contadino Bravi Cesare che, fu condotto a Roma in Via Tasso e, dopo essere stato sottoposto ad interrogatorio per dare notizie sul rifugio dei Della Seta, fu lasciato libero.

Quest’ultima imputazione è connessa ad altra, similmente di saccheggio, per la quale fu sporta denunzia a parte dalla signora Maria Teresa, ved. dell’avv. Alessandro Della Seta, proprietaria delle dodici casse asportate dalla casa di Della Seta Angiolino, e per la quale fu aperto procedimento penale in dibattimento.

Il Ceccherelli fu denunziato anche della cattura eseguita da solo degli ebrei: 1) Efrati Leone e Efrati Romolo, padre e figlio (quest’ultimo di appena sei anni), i quali furono da lui arrestati il 7 maggio 1944 nei pressi di Ponte Vittorio, in un bar. Il primo dal carcere scrisse una lettera alla moglie, riferendole che il Ceccherelli aveva percepito lire 5000 per la di lui cattura e lire 3000 per quella del figlio, e riuscì poi a rendere la libertà al figliuoletto, al momento della partenza dal carcere, calandolo giù dal camion, sul quale già con lui si trovava, e riuscendo a fargli raggiungere la madre trovantesi nella folla, che assisteva alla partenza dei deportandi […]

2) Piperno Angelo e Mieli Mario, zio e nipote avvenuta il 7 febbraio 1944 nei pressi del caffè Grandicelli a Ponte Garibaldi, ove i due eransi trovati ad un appuntamento loro fissato da lui e con lui erano fermi. Sopraggiunsero due tedeschi che, senza disturbare in nulla il Ceccherelli, rivolgendosi direttamente ai due ebrei e chiamandoli tali (ebrei! ebrei!) li arrestarono. I due eransi posti in relazione coll’imputato sperando di ottenere a mezzo di lui, con promessa di largo premio la liberazione di alcuni loro congiunti, rastrellati dai tedeschi il 16 ottobre 1943, e all’appuntamento fissato, nel quale avrebbero col Ceccherelli dovuto discutere della cosa, incorsero nell’arresto, indubbiamente premeditato dal losco individuo. Del fatto forma oggetto separato n. 141, riunito al principale al dibattimento.

Ceccherelli e Consoli, in concorso fra loro, consumarono altre imprese della specie.

Difatti furono denunziati: 1) da Livoli Letizia […] quali autori della cattura di Livoli Pacifico e Spizzichino Eugenio (fratello e cognato di lei), avvenuta nella casa del secondo il 25 marzo 1944, -2) da Pavoncello Clelia […] per la cattura del marito Moresco Cesare e del figlio Zaccaria, avvenuta nel negozio di Paradisi Guido il 29 aprile 1944, 3) da Piazza Sed Laura quali autori dell’arresto del marito Fiorentino Giacomo e del conoscente Piattelli Marco, mentre i medesimi il 7 aprile 1944 erano seduti in Via della Lungaretta […]; 4) Salmoni Romeo per il proprio arresto e di quello del suo amico Di Castro Giorgio avvenuto il 30 aprile a Piazza Porta Portese. Il Salmoni e il Di Castro furono condotti prima a Via Tasso, dove il Consoli si fece consegnare dal primo quanto possedeva (lire 4000, un paio di scarpe da donna e dieci paia di calze) e poi a Regina Coeli e indi deportati in Germania nel campo di concentramento Bircheman [Birkenau], dal quale il solo Salmoni ritornò, avendovi l’altro trovato la morte, a seguito dei disagi delle sofferenze […].

Anche a carico del Consoli furono sporte denunzie per altri fatti del genere compiuti da solo. Fu denunziato: 1) da Di Segni Letizia […] per l’arresto del fidanzato Di Porto Pacifico avvenuto il 17 aprile 1944 in Via Bocca della Verità. Il Di Porto tentò di sfuggire all’arresto dandosi alla fuga, dalla quale dovette desistere, avendogli il Consoli sparato dietro un colpo di rivoltella; 2) da Calò Rina […] quale autore dell’arresto del fidanzato Sed Pacifico e del cugino Calò Davide avvenuto il 21 aprile 1944. La Calò si aggrappò alla carrozza che trasportava i due arrestati, implorandone dal Consoli la liberazione; ma dovette desistere perché da quest’ultima prima venne sparato un colpo di rivoltella per intimorirla e poi venne colpita alle mani con le manette. 3) Da Terracina Alberto […] perché nel marzo 1944 aveva tentato di trarlo in arresto, dal quale sfuggì solo per l’intervento di un suo amico a nome Paolo, che l’ebbe a informare di essere proprio lui ricercato dal Consoli e l’ebbe a far salire sì di un’autovettura da lui guidata. Infine Di Fuccio Orazio […] denunziò che il Consoli quale guardia repubblichina, nella notte del 6 novembre 1943, l’arrestò, assumendo di averlo sorpreso a scrivere sulle mura del Viale Prenestino frasi sovversive.

Colpito da mandato di cattura ed arrestato, il Ceccherelli, nell’interrogatorio, reso al Giudice Istruttore il 19 giugno 1945 […] dopo aver narrato che l’8 settembre 1943 liberati gli ufficiali e gerarchi fascisti (Galbiati, Buffarini Guidi, Soddu, Cavallero), detenuti nel forte Boccea e dei quali egli era attendente, venne assunto come cameriere presso l’Ambasciata Germanica sotto la minaccia di essere altrimenti deportato in Germania, ed all’uopo fu munito di un lasciapassare con fotografia, che non era tessera di SS., ammise di avere conosciuto il Consoli quale ufficiale della Nembo; negò di avere partecipato a catture di ebrei ed ammise soltanto l’incontro col maggiore Montaldo nella sera del 4 maggio nella pensione Haesdilin, ove egli, il Consoli ed il Raucci eransi recati per arrestare cinque o sei ebrei ivi alloggiati, nonché la circostanza che per ogni ebreo catturato il comando tedesco retribuiva con cinquemila lire.

Nell’interrogatorio del 28 dello stesso mese ammise di avere conosciuto in un primo tempo Civetti Alceste e poi, a mezzo di costui, il Raucci e il Policari, di avere avuto dal comando tedesco una tessera verde, con la sbarra rossa, propria degli appartenenti alle SS italiane di essere stati il Civetti e il Raucci muniti di una simile tessera, mentre il Policari aveva quella di delatore e informatore, perché conoscitore dell’ambiente ebraico, onde dietro segnalazione di lui, Policari il comando tedesco dava ordini di andare a prelevare ebrei. Ammise che nei primi tempi della sua conoscenza col Civetti, dietro istigazione di costui che aveva portato una cassa con argenteria, di proprietà di una famiglia ebrea, forse Della Seta, in casa di un conte, al Lungotevere Cenci, aveva segnalato la presenza di detta cassa in quel luogo al comando tedesco, il quale ne provvide al ritiro ed in seguito portò via dalla casa di quella famiglia quanto vi era contenuto. (evidentemente si riferì al saccheggio dell’appartamento della famiglia Della Seta, alla quale ad opera dei tedeschi fu sottratta anche una cassa, contenente oggetti preziosissimi fatta depositare in casa del Conte Guerrini al Lungotevere Cenci).

Ammise di avere in concorso del Civetti e su segnalazione del Policari e del Raucci, proceduto all’arresto di quattro ebrei (Vivanti, padre e figlio, Moscati e Di Consiglio), in Via Portico D’Ottavia n.13, e di avere di lì a del tempo conosciuto, a mezzo del Raucci, il Consoli, il quale entrò a far parte del gruppo, perché essendo ufficiale dell’esercito repubblichino, poteva più facilmente acquisire automezzi e merci, e spiegò che le merci; sequestrate o rubate, venivano vendute e che il loro prezzo veniva incassato da coloro che avevano eseguito l’operazione.

Ammise inoltre di avere in concorso del Consoli arrestato gli ebrei Piattelli Marco e Fiorentino Giacomo e negò di avere partecipato a saccheggi ed a rapine ai quali invece erasi dedicato il Civetti tanto vero che fu da lui e dal Consoli tratto in arresto e consegnato al Commissariato di Piazza Emporio per avere commesso una rapina.

Nel memoriale […] da lui vergato il 29 giugno, cioè del giorno successivo del secondo interrogatorio, dopo aver narrato come divenne cameriere presso l’ambasciata tedesca e come venne addirittura benemerito della lotta partigiana col procurare al capo partigiano Ettore Landini, già ufficiale, da lui conosciuto al forte Boccea, a basso prezzo oggetti di argento, che il Landini rivendeva a maggior prezzo e il ricavato mandava a favore dei partigiani; e dopo avere di nuovo accennato al saccheggio della casa della famiglia ebrea Della Seta, asserì di essere stato tratto in arresto dal Commissario Pastoni, perché accusato di avere fatto vuotare da certo Vittorio Spizzichino, detto Scavolino, il magazzino di un di lui cugino, destinato ad essere svaligiato di li a breve tempo dai tedeschi, di essere stato posto in libertà perché nessuno si prestò a deporre contro di lui, e di essere stato obbligato a trarre in arresto, insieme al Civetti, i quattro ebrei di via Portico D’Ottavia.

Precisò che di li a qualche giorno conobbe il Consoli, che Raucci gli disse essere addetto al sequestro delle merci nascoste. Pose in mala luce il Raucci, come quegli che da lui ed al Consoli fatto arrestare due ebrei nei pressi del Viale del Re, erasi poi fatto trovare a Via Tasso, ove aveva già comunicato la cattura eseguita da lui e dal Consoli, e come quegli che, non avendo in altro giorno proceduto all’arresto di un ebreo, da lui indicatogli, ebbe a denunziarlo ai marescialli delle SS tedesche i quali lo minacciarono di fucilazione per favoreggiamento degli ebrei. Infine ritrattò qualsiasi circostanza relativa al Policari, ammettendo solo che gli procurò dall’ufficio di Via Lucullo una tessera di esecuzione dal servizio del lavoro, perché informatore.

Nel terzo interrogatorio […] poi reso il 23 maggio 1946, mentre tentò di scagionare il Raucci e il Policari dalla delazione degli ebrei di via Portico D’Ottavia, narrando che il delatore era stato l’interprete di Via Tasso il quale percepì lire 700, pari al 10% delle somme trovate addosso agli arrestati, mentre egli non percepì alcun premio, ammise di aver ricevuto lire 4000 per l’arresto di due ebrei eseguito nell’aprile da lui e dal Consoli in piazza Giuditta Tavani Arquati e di avere nello stesso mese arrestato un altro ebreo in piazza Sonnino, senza però percepire nessun premio. Si dichiarò pentito della malefatta commessa, aggiungendo che non gli fu possibile sottrarsi alle imposizioni dei tedeschi anche perché la sua famiglia era a Firenze esposta alle loro eventuali rappresaglie.

L’11 gennaio 1947, interrogato in ordine al saccheggio in danno del Della Seta, ammise di aver appreso il furto delle casse, commesso ad opera del Commissario Pastoni e di alcuni sottufficiali tedeschi, dall’autista del camion, dal quale le casse erano state scaricate in Via Tasso, di essersi recato con gli stessi sottufficiali il giorno dopo nella casa Della Seta per prendere altre casse; ma di non avere nulla preso, perché nulla più fu trovato, e di non aver comunque percepito alcun premio per l’operazione, perché in casi simili venivano retribuiti i soli informatori con una percentuale sulla merce, sui valori o sul denaro sequestrato agli ebrei.

In ordine dell’arresto degli ebrei Piperno e Mieli, di cui al processo separato, poi riunito all’udienza, lo stesso Ceccherelli affermò di non avervi preso parte in nessun modo, perché i due israeliti vennero riconosciuti tali dalle loro carte d’identità e perciò vennero tratti in arresto.

Il Consoli, interrogato il 19 giugno 1945 […] negò qualsiasi addebito e di avere fatto parte delle SS italiane.

A suo dire, stette a Roma ma come ufficiale della Nembo, non si associò mai al Ceccherelli e al Raucci nella caccia agli ebrei e nei saccheggi non ebbe alcun incontro col magg. Montaldo nella pensione Haesdlin. [ill.] essendosi arruolato col grado di tenente nella Legione Waffen SS italiane.

Messo a confronto con la Funaro Maria, negò di averla conosciuta […].

Il Policari si trincerò […] dietro la giustificazione di avere ottenuto, a mezzo del Ceccherelli dall’ufficio tedesco di via Lucullo un lasciapassare, che lo esonerava dal servizio del lavoro, perché informatore, e asserì di non avere mai fatto opera di delazione. Ammise di avere mostrato alla Funaro Maria il detto lasciapassare e di essersi dichiarato disposto a interessarsi per la liberazione dei di lei congiunti.

Il Raucci insistette […] nell’assunto di essersi solo adoperato per la vendita di merci sequestrate ad ebrei da Consoli e Ceccherelli e nel negare di aver fatto delazione di ebrei e di averne arrestati. Ammise di essersi recato con Consoli e Ceccherelli nella pensione Haesdlin, ma negò di avere mostrato al Montaldo la tessera di appartenenza alle SS italiane e di avergli confidato di percepire lire cinquemila per ogni ebreo catturato. Asserì di avere poche volte consumato i pasti con Consoli e Ceccherelli e di avere dormito solo due volte o tre volte, su invito del Ceccherelli all’albergo “La Capitale”, durante il periodo di tempo in cui la moglie era a Perugia. Negò di avere confessato ai comunisti di avere dato informazioni alle SS e addusse che se ciò trovavasi affermato in una dichiarazione da lui sottoscritta, è perché non si rese conto del contenuto della stessa.

Il Fiorito fu anche egli negativo […] produsse un alibi per dimostrare che non poteva avere proceduto all’arresto del Perugia e del Sonnino, perché in quel giorno era lontano da Roma per ragioni di commercio, e addusse inoltre che essendo stato tacciato quale spia, erasi querelato contro colui che lo aveva in tal modo ingiuriato.

Nel dibattimento il Consoli non si è irrigidito nell’atteggiamento assunto in istruttoria : ha ammesso, attenuandone però la portata, l’incontro avuto col maggiore Montaldo nella pensione Haesdlin, nella quale è asserito di essersi recato con gli altri per rilevare i nomi degli stranieri ivi alloggiati e non già per trarre in arresto gli ebrei francesi che vi avevano trovato alloggio; ha finito con l’ammettere di aver fatto parte per qualche tempo delle SD, di aver proceduto all’arresto di qualche ebreo in esecuzione di ordine del comando tedesco, e di essersi recato in casa dell’Astrologo Eleonora per catturare il marito, e ciò appunto in esecuzione di ordine ricevuto; ma ha negato di avere minacciato di prendere in ostaggio il piccolo figliuolo della donna. Anche il Raucci ha finito con l’ammettere di essere stato in possesso di una tessera delle S.D. (servizio aggregato alle SS tedesche prestato da italiani), per aderire alle insistenti sollecitazione del capo   uscere di via Tasso, già del consolato germanico, che prima ivi aveva sede, e di avere percepito lire 1200 mensili; ma ha negato di aver fatto arrestare o arrestato ebrei.

Il Ceccherelli dal canto suo ha ritrattato la asserzione di aver percepito lire 4000 per la cattura di due ebrei eseguita in concorso del Consoli ed ha asserito che fu costretto a recarsi ad arrestare i quattro ebrei di Via Portico D’Ottavia, perché fu messo alla prova a seguito di sospetti sorti su di lui per avere avvertito lo “Scavolino” circa lo imminente saccheggio del negozio del di lui cugino. Anche egli, come il Consoli ha asserito che, scopo della visita fatta alla pensione di Via Palestro era di controllare se vi fossero stranieri e non già di arrestare gli ebrei ivi alloggiati. Insieme col Consoli ha tenuto a porre in chiaro che gli agenti della S.D. non percepivano alcun premio per la cattura di ebrei che il premio spettava ai segnalatori. Ha infine tenuto a giustificare le nuove affermazioni, in contrasto con quelle fatte negli interrogatori resi in istruttorie, coll’addurre di avere voluto, non dicendo la verità che la procedura andasse per le lunghe e così sfuggire alla fucilazione, che, a dire del giudice istruttore, era comminata per i fatti imputati.

 

Diritto:

Va premesso che, pur potendosi prescindere, ai fini dell’indagine, dal contenuto degli interrogatori degli imputati Ceccherelli, Consoli, Raucci e Policari in ordine ai reati di collaborazionismo e di sequestro di persone, per essere i detti prevenuti raggiunti dalle dichiarazioni delle parti offese e dei testimoni escussi al dibattimento, non può non rivelarsi l’inconsistenza dell’argomento, da qualche difensore dedotto, tratto dal principio dell’inscindibilità della confessione, per cui non potrebbesi dar credito alle ammissioni dei prevenuti, se dissociate dalle circostanze, che le accompagnano e che si dice essere discriminatrici o limitatrici delle rispettive responsabilità.

Invero quel principio, che per altro ha subito delle limitazioni nel C.C. vigente (art. 2734), ha valore in materia civile e non pure in materia penale, vigendo in questa il criterio del libero convincimento, a norma del quale al giudice, ai fini probatori, per formare cioè il proprio convincimento, è consentito di avvalersi di tutti gli indizi dovunque descemibili e quindi anche dalle confessioni cosiddette qualificate.

Inoltre tutte le circostanze che, secondo i difensori, formerebbero un tutto inscindibile coi fatti ammessi dai prevenuti e dalle quali il collegio non dovrebbe prescindere, rivelansi addotte a solo scopo difensivo e non sono rispondenti al vero.

Esse tendono alla finalità di attenuare, se non di giustificare, i numerosi episodi delittuosi, rivelatori di tale bassezza e degradazione morale, da fare annoverare agli imputati tra gli esseri umani più abbietti ed ignobili. E sarebbe dar mostra di imperdonabile ingenuità prestare una qualche fede all’affermazione: del Consoli di avere proceduto solo a qualche arresto di ebrei e a seguito di ordini del comando tedesco, del Ceccherelli di avere accettato la tessera di S.D. e avere proceduto ad arresti di ebrei solo perché gli venne imposto sotto la minaccia di rappresaglie; e degli altri due di non aver mai catturato ebrei, o fattili catturare, benché l’uno, il Raucci fosse agente delle S.D. e l’altro informatore dei tedeschi.

Certo è che a carico degli stessi sono emersi dalla complessa istruttoria scritta e orale elementi probatori convincenti e sicuri sui quali la Corte con serena coscienza può adagiare aver sentenza affermativa di responsabilità.

Difatti circa l’episodio della pensione Haesdlin di Via Palestro, posto carico del Ceccherelli, Consoli e Raucci, ha deposto in modo esaurientissimo il teste Montaldo, maggiore della Polizia Africa Italiana (P.A.I.) durante l’occupazione nazi-fascista di Roma; il teste più bistrattato dalle critiche dei difensori del Consoli e del Raucci e finanche fatto oggetto di invettive, quali spergiuro e collaboratore, sebbene quasi tutte le più importanti circostanze, da lui asseverate, fossero state ammesse in istruttoria dal Ceccherelli e dal Raucci (costoro non ammisero la sola circostanza relativa alla confessione di uno di essi fatta al teste del premio di lire cinquemila che i tedeschi pagavano per ogni ebreo catturato la quale circostanza è bene notare fu in un primo tempo commessa dal Ceccherelli […]), e contuttoché il grado di lui rivestito corpo e soprattutto il comportamento, davvero encomiabile, da lui tenuto nella losca operazione, impresa dai tre e da lui sventata, avrebbe dovuto consigliare a non elevare il benché minimo sospetto sulla veridicità dei suoi detti.

Sulla scorta della deposizione di siffatto testimone, che nella sera del 4 maggio 1944 era stato comandato di ispezione, quale ufficiale superiore della P.A.I., risulta invero accertato che i loschi individui, da lui scovati in quella pensione, per loro stessa confessione si accingevano ad arrestare sei ebrei francesi, ivi alloggiati, (dei quali uno di essi, il Consoli già aveva preso nota delle generalità) e che non potettero portare a termine l’impresa proprio per il suo intervento, avendoli egli condotti in Via Tasso, secondo le istruzioni del Comando della C.A.R. (Città Aperta di Roma), per chiarire la loro posizione (quali addetti alle S.D. italiane, non potevano procedere ad arresti e potevano solo andare armati ed essere tutelati dalla Forza pubblica), e dando così agio agli ebrei, sui quali incombeva l’arresto, di allontanarsi dalla pensione e farla franca.

Stante tali circostanze, del fatto accertato i tre prevenuti debbono risponde al titolo di tentato sequestro di persona, come in rubrica riscontrandosi in esso tutti gli estremi obbiettivi e subbiettivi di tale delitto, che non fu da loro portato a perfezione per fatto indipendente dalla loro volontà e dal quale avevano iniziato l’esecuzione con atti idonei, tali essendo la loro entrata nella pensione per arrestare gli ebrei ivi alloggiati e l’avere preso nota, controllando il registro degli alloggiati.

In ordine alla cattura degli ebrei Moscati Vito, Vivanti Giacomo, Vivanti Angelo e Di Consiglio Cesare, tutti trucidati alle Fosse Ardeatine, il Ceccherelli è raggiunto non solo dalla sua stessa confessione, ma anche dalla denunziante Vivanti Sara, la quale ha riconosciuto in lui uno dei catturatori del marito, del padre, del fratello e del cognato, essendo il loro arresto avvenuto alla sua presenza nella sua casa d’abitazione di Via Portico D’Ottavia n.13. Vero è che la povera donna ha asserito al dibattimento che un altro dei catturatori era stato il Raucci e che, postole davanti costui, è rimasta titubante nel riconoscerlo, non presentando egli lo sfregio da lei notato al volto dell’individuo da lei ritenuto per Raucci; ma ciò non toglie che il Raucci non debba rispondere del reato, in quanto egli insieme al Policari compì la delazione dei quattro martiri, giusto l’accusa fatta dal Ceccherelli nell’interrogatorio del 28 giugno 1945.

Si è obbiettato che tale accusa fu successivamente ritrattata, avendo il Ceccherelli nell’interrogatorio del 23 maggio 1946 attribuito la delazione degli ebrei di Portico D’Ottavia all’interprete delle SS tedesche di Via Tasso; ma la seguita ritrattazione non merita fede, dappoichè il Ceccherelli chiamo in correità i due suoi compari in modo chiaro e preciso e non per coprire o attenuare la sua responsabilità ponendo in tal modo in essere una chiamata di correo pienamente credibile. E poi quasi due risultano essere stati appartenenti alle S.D. italiane, l’uno come agente e l’altro come informatore nella caccia agli ebrei, e risultano essere individui senza scrupoli, capaci di spiegare attività del genere, come stanno ad attestare gli altri episodi di cattura di ebrei quali quelli denunciati da Funaro Mario, Pavoncello Davide e Pavoncello Leone nei confronti del Policari e da Pavoncello Davide e del maggiore Montaldo nei confronti del Raucci. Inoltre è altresì rilevante che sia l’uno che l’altro erano in buone relazioni col Ceccherelli prima e anche col Consoli dopo, tanto vero che frequentavano le trattorie dove quelli consumavano i pasti (deposizione Funaro Mario). Anzi fu proprio il Raucci che presentò il Consoli al Ceccherelli (interrogatorio e memoriale Ceccherelli) e lo fece accettare nella cricca perché quale ufficiale avrebbe avuto maggiore facilità di perquisire automezzi e merci, delle quali egli avrebbe provveduto come appunto fece alla vendita. Infine a carico dell’uno e dell’ altro sta l’affermazione del teste S. Sabatino […] circa la loro attività di [ill.] degli ebrei a servizio dei tedeschi, e a carico del Policari anche quella  del teste P. Giovanni […] al quale in camera di sicurezza nel rispondere a di lui invettive per la svolta attività di spia e nell’ apprendere che anche il Fiorito era stato arrestato per spia, mentre affermò che il Fiorito era innocente, nulla addusse nei riguardi, dando così a vedere che l’accusa mossagli per la quale era stato arrestato fosse rispondente ad esattezza. Ciò premesso non [ill.] dubbio che della cattura dei quattro ebrei di Via Portico D’Ottavia debbano rispondere sia il Ceccherelli per averla eseguita in concorso con altri, e sia il Raucci e il Policari per averla resa possibile col segnalare la presenza in detta casa di quelli. Non è senza giusta ragione che sia innanzi addotto, per dimostrare la losca figura del Raucci e del Policari e la losca attività di spia [ill.], che i medesimi risultano avere partecipato ad altri episodi del genere, in quanto è rimasta chiaramente provata tale loro partecipazione riguardo al Raucci infatti per l’operazione della pensione Haesdlin sulla quale ha deposto il maggiore Montaldo, già la Corte ha reso il suo giudizio; e per cattura del Pavoncello Davide, (scampato dalla deportazione e dal serio pericolo di non ritornare più in patria come la quasi totalità dei suoi correligionari, solo perché fu arrestato appena una decina di giorni prima della liberazione di Roma), egli insieme al Consoli è raggiunto dalla dichiarazione di esso Pavoncello, il quale ha assicurato che furono proprio il Raucci e il Consoli a trarlo in arresto in casa della zia D’Elice Assunta e dalla dichiarazione di quest’ultima che ha deposto in conformità di ciò.

Riguardo poi al Policari per la detta cattura del Pavoncello Davide che pure a di lui carico è posta v’è la confidenza, fatta dal Raucci [ill.] arrestato, subito dopo l’arresto (mentre lo custodiva con la rivoltella puntatagli contro, nei pressi del portone di casa) e già fatta [ill.] D’Elia Assunta, cioè che egli, il Policari, era stato il delatore. E per la cattura del Pavoncello Angelo, padre del Davide surrichiamato e del denunziante Pavoncello Leone, stanno la circostanza riferita da quest’ultimo che il Pavoncello Angelo era stato in compagnia di lui, Policari appena pochi minuti prima di essere tratto in arresto e il fatto che era il sistema dei delatori, nel fare arrestare gli ebrei da loro conosciuti, di accompagnarsi ai malcapitati prima dell’arresto, affinché gli agenti non potessero sbagliare il colpo.

Inoltre è rilevante che il fatto che il Policari era buon amico della famiglia Pavoncello e che più volte aveva cercato di conoscere da D’Elia Assunta dove detta famiglia avesse trovato rifugio, circostanza questa che, posta in riferimento alla sua attività di delatore di ebrei spiega come per fini spionistici egli chiedesse quella notizia. Infine hanno anche valore gli elementi innanzi posti in rilievo circa la losca attività di spia dell’imputato (testi Sereni e Paolesi) nonché circa l’affermazione fatta dal Ceccherelli a Funaro Maria e a Riposati Maria che il Policari era stato quegli che con le sue delazioni aveva fatto arrestare gli ebrei di Trastevere.

Non meno tranquillante è la prova relativa alla cattura di Marino Angelo e Funaro Pacifico, il marito e il padre di Funaro Maria, la povera donna la quale sebbene in preda al dolore per l’arresto dei suoi cari (finiti alle Fosse Ardeatine), pur di riuscire a saperne notizie e a conoscere chi li avesse fatti arrestare, si pose a frequentare la trattoria, in cui consumavano i pasti Ceccherelli (da lui conosciuti a mezzo dell’agente di P.S. Blundo) e Consoli, ai quali non mancò di regalare bottiglie di vini pregiati pur di carpirne le confidenze. Orbene la Funaro Maria ebbe confidato dal Ceccherelli che il delatore del padre e del marito era stato appunto il Policari. Dal Consoli ebbe poi fornita l’occasione di conoscere il vile individuo, da lui non conosciuto di persona, in quanto un giorno della fine di maggio 1944, trovandosi ella nella trattoria, sentì chiamare per “Nino” dal Consoli un individuo, accostatosi al suo tavolo, e al quale ella, insieme alla sua amica Riposati Maria, s’accompagnò nell’uscire dall’osteria. Lungo la strada il medesimo si pose a dire che era bene guardarsi da persone della specie del Consoli che gli avevano fatto pagare lire 12.000 per fargli ottenere una tessera di esonero dal servizio del lavoro. E in ciò dire estrasse dal portafoglio un documento attestante che il Policari Giovanni, perché informatore, era esonerato dal servizio di lavoro. Ella allora, e con lei la Riposati, che l’accompagnava, capì di trovarsi di fronte al delatore del marito e del padre, e pure essendo da ciò rimasta turbata, non dette nulla a vedere, per timore di altri guai.

Tutto ciò, pur sembrando inverosimile, è invece la realtà, in quanto trova conferma nel detto della Riposati non solo, ma anche in quello dello stesso Policari il quale, pure contestando di essere stato il delatore dei due martiri, ha ammesso l’incontro con la Funaro e di averle fatto vedere il documento di esonero dal servizio del lavoro.

Pertanto anche tale fatto, la delazione cioè di Marino Angelo e Funaro Pacifico, risulta provata a carico del Policari, il quale quindi non può sfuggire alla responsabilità corrispondente.

Dal loro conto Ceccherelli e Consoli non possono sfuggire alla responsabilità: 1 per la cattura di Livoli Pacifico e Spizzichino Giacomo (deportati in Polonia e non più tornati), avvenuta il 25 marzo 1944, essendo raggiunti dalla dichiarazione di Livoli Letizia, la quale fu presente alla stessa, e di Di Porto Renata, che vide passare lo Spizzichino tenuto fermo per un braccio dal Consoli; 2 per la cattura di Piattelli Marco e Fiorentino Giacomo, avvenuta il 7 aprile, in ordine alla quale grava su di loro, oltre l’ammissione del Ceccherelli (interrogatorio 28 giugno 45) la dichiarazione di Piazza Sed Laura; 3 per quella di Moresco Cesare e Zaccaria, avvenuta, secondo la dichiarazione di Pavoncello Clelia (moglie e madre degli arrestati) nel negozio di tale Paradisi, dove i due individui entrarono e dopo avere esaminati i documenti d’identità dei Moresco li trassero in arresto; 4 nonché per quella di Di Castro Giorgio e di Salmoni (uno dei pochi superstiti dai campi di concentramenti della Germania e Polonia) il quale ha narrato di essere stato fermato a Piazza Porta Portese col Di Castro dai due prevenuti.

A carico del solo Ceccherelli è risultata anche la responsabilità per la cattura di Efrati Leone e Romolo essendo raggiunto dalla dichiarazione del piccolo Romolo, scampato dalla deportazione e da sicura morte per la audacia del genitore, come si è narrato innanzi; nonché per quella di Piperno Angelo e Mieli Mario, per la quale sono stati sentiti il Mieli, riuscito a liberarsene in via Tasso mediante l’esibizione di un certificato di battesimo della moglie e asserendo di essere di religione cattolica.

Al riguardo è eloquente la circostanza che i tedeschi si dicessero esclusivamente israeliti e lasciassero indisturbato il Ceccherelli, e che sopraggiunsero non appena quest’ultimo prese a discutere col Mieli e il Piperno, il che fornisce la prova che l’operazione fu compiuta a seguito di accordi presi col Ceccherelli e fa escludere che costui non fosse al corrente di quanto i tedeschi avevano organizzato per catturare i due ebrei. Non ha valore la tesi affacciata dal Ceccherelli e sfruttata dalla difesa che l’imputato avrebbe ritenuto di sua convenienza, ove avesse voluto tradire i due israeliti, i quali si erano a lui rivolti per ottenere la liberazione di alcuni loro congiunti arrestati, rimandare la sorpresa al momento in cui i due fossero venuti coll’oro e con le somme da pattuirsi come compenso suo e di altri. Difatti il Mieli ha detto al riguardo che il compenso pattuito, e di ciò era a conoscenza già il Ceccherelli, sarebbe stato da lui versato quando i suoi congiunti sarebbero stati liberati. E se da questa affermazione deve trarsi un’illazione è che l’imputato, sicuro che i due ebrei non avrebbero abboccato all’amo, volle assicurarsi il premio a lui spettante per la loro cattura.

Gli arresti di Di Porto Pacifico e di Sed Pacifico e Calò Davide vennero, come è detto in narrativa, eseguiti dal solo Consoli, giusta la dichiarazione delle giovani Di Segni Letizia, fidanzata del Di Porto, e Calò Rina, fidanzata del Sed e cugina dell’altro. Costoro hanno posto in rilievo il cinico contegno del Consoli, il quale, vedendosi sfuggire la preda per essersi il Di Porto dato alla fuga, sparò contro costui e lo costrinse a fermarsi, e quanto agli altri due, dei quali la Calò implorava da lui la liberazione, sparò un colpo di rivoltella per intimorire la Calò e si dette poi a battere con le manette sulle mani, colle quali la povera giovane erasi aggrappata alla carrozza.

Non cade dubbio che tutti gli episodi, che hanno formato oggetto della premessa indagine e che si sono risolti in tante tragedie per le vittime e per la società offesa e in azioni ultrabominevoli per gli imputati, mentre sustanziano nel loro complesso il grave reato di collaborazione politica col tedesco invasore, singolarmente riguardati integrano anche tanti delitti di sequestro di persona, verificati, a norma dell’art. 81 C.P. per effetto dell’unicità del disegno criminoso e dell’imputazione della medesima disposizione di legge.

Difatti le molte catture di ebrei, operate o fatte operare dai quattro giudicabili, mentre privarono della libertà tante persone colpevoli solo di professare la religione ebraica, costituiscono altrettanto evidenti manifestazioni di attività cosciente, volontaria ed efficiente di collaborazione col nemico, al quale quei pessimi soggetti si asservirono perché raggiungesse la finalità politica prefissasi dello sterminio della razza ebraica. Si tratta di due reati distinti tra loro, come si deduce dalle loro rispettive diverse attività giuridiche, ledendo il sequestro di persona il bene della libertà individuale e quello di collaborazionismo la fedeltà e la difesa dello stato, e dalla diversità del soggetto passivo che per il primo reato è l’individuo, mentre l’altro è lo stato. E però non può porsi in dubbio che ricorra per essi di concorso reale e non già formale, come si sono fatte invece a sostenere le difese.

I difensori molto si sono soffermati sulla figura del reato complesso e hanno sostenuto che nella specie tale sia quello di collaborazione nel quale, a loro dire, dovrebbersi ritenere assorbito il reato minore di sequestro di persona.

Ma la Corte non può essere di siffatto avviso.

Secondo il comune insegnamento, perché l’art. 84 C.P., che disciplina il reato complesso, possa trovare applicazione, è necessario che il reato più grave sia dal legislatore formulato in maniera tale da richiamare specificatamente una precisa figura di reato come suo elemento sostitutivo o come sua circostanza aggravante.

Ora, nel D.L.L. 27 luglio 1944 n.159 all’art.5 che ipotizza il reato di collaborazione, né l’art. 58 C.P.M.G., al quale quel disposto si richiama, colle loro vaghe dizioni “con qualunque forma d’intelligenza o collaborazione col tedesco invasore” favorisce i disegni politici del nemico, non consentono di individuare quale sia la figura del reato o dei reati fusi.

Né d’altra parte è esatto che il reato di collaborazione presupponga necessariamente che l’agente si renda colpevole di un altro reato, in quanto sono ben ipotizzabili forme di collaborazioni che non importano la simultanea realizzazione di altre figure criminosa, come può verificarsi nel caso di favoreggiamento dei disegni politici del nemico, commesso mediante la propaganda dei suoi sistemi di governo, o mediante l’opera diretta a far penetrare tra la popolazione del territorio invaso le dottrine politiche del nemico, o far orientare la popolazione in senso favorevole all’occupante. Difatti tali attività non realizzano altra figura di reato all’infuori di quella prevista dallo art. 58 surrichiamato, cioè di collaborazione col nemico nei suoi disegni politici. Ed è quindi giusto che, ove l’attività collaboratrice violi altra disposizione di legge, il colpevole, in base al disposto dell’art. 58 C.P., venga chiamato a rispondere anche dei reati commessi nel fornire la collaborazione.

Anche per quanto riguarda i reati di saccheggio il Ceccherelli e il Consoli non possono sfuggire alla responsabilità incontrata.

La famiglia ebrea Della Seta, come è rimasto assodato, durante l’occupazione nazi-fascista, per sfuggire alla persecuzione dei tedeschi, fu costretta a nascondersi in luogo sicuro e ad abbandonare l’abitazione di Viale Glorioso n.16. Nell’allontanarsene, mentre permise che alcune camere e gli accessori venissero occupati dalla famiglia Simeone, sfollata da Civitavecchia a seguito di incursioni aeree, provvide ad accantonare i migliori mobili ed i migliori oggetti, nonché dodici casse di proprietà del congiunto allora vivente, avv. Alessandro Della Seta, contenenti preziosi oggetti, maioliche, quadri di autori ecc., in tre camere, delle quali le chiavi lasciò alla portinaia dello stabile, Sinibaldi Elena […], ed una cassa, nella quale aveva riposto oggetti di valore rilevanti, fece portare, perché vi venisse custodita, in casa del Conte Guerrini al Lungotevere Cenci.

Come risulta dal memoriale e dall’interrogatorio 28 giugno 1945 del Ceccherelli, l’uomo che provvide a tale trasporto fu certo Civetti Alceste, il quale a mezzo del Ceccherelli informò il comando tedesco dell’esistenza di tali casse e del luogo ove era custodita. Certo è che alcuni tedeschi, usando, come di solito, mezzi coercitivi, si impossessarono prima di detta cassa e poi, recatisi in viale Glorioso, ottennero, sotto la minaccia di abbattere le porte delle camere, ove erano riposte la casse del Prof. Alessandro Della Seta, l’apertura delle porte colle chiavi vere della detta Sinibaldi e sottrassero le dette casse. Essi in tale occasione ebbero a compagni non solo l’interprete, ma anche un giovane, che veniva chiamato Renato o Sor Renato, e qualche altro. Fu poi il Renato o sor Renato, che nei due giorni successivi completò l’opera di depredazione dei tedeschi, vuotando di tutto il loro contenuto le camere state chiuse dai Della Seta. Né la Simeoni Giuliana […], né la Sinibaldi hanno riconosciuto nel Ceccherelli il Sor Renato; ma è indubbio che egli partecipò alle depredazioni, giacché dopo la asportazione delle note casse, durante la sera, il sor Renato condusse la Sinibaldi a via Tasso perché in confronto del contadino Bravi Cesare, pure dal sor Renato ricercato e prelevato in contrada Boccea, potesse dare notizie al comando tedesco sul rifugio della famiglia Della Seta. Orbene il Ceccherelli non ha negato di avere egli condotto a via Tasso la Sinibaldi e il Bravi ed è quindi chiaro che egli appunto fosse lo svaligiatore della casa Della Seta.

A parte che egli non dovette essere estraneo nella segnalazione ai tedeschi della casa Della Seta, come non lo fu nella segnalazione della cassa portata presso il conte Guerrini, è a rilevarsi che l’avere accompagnato i tedeschi allorquando furono sottratte  le casse dell’Alessandro Della Seta, e l’avere cooperato nei giorni successivi cogli stessi (i quali, a dire della Sinibaldi, erano giù al portone, nella spogliazione delle note camere) anche ammesso che di tutti i mobili si fossero appropriati i tedeschi, il che per altro non sembra verosimile, non giova al giudicabile, perché non di un fatto di guerra si trattò, bensì di una vera e propria violazione della proprietà privata, non consentita dalle norme di diritto internazionale, della quale tanto i tedeschi e tanto il cittadino italiano cooperatore sono tenuti a rispondere penalmente.

Riguardo alla depredazione in danno di Vivanti Sara il dibattimento ha posto in chiaro che il Ceccherelli, non soddisfatto di avere privato la povera donna di ben quattro congiunti, di lì a qualche giorno la spogliò della radio e dei mobili della camera da letto. Ben vero che la Vivanti appena avvenuta la liberazione della città, potette ricuperare i mobili della camera da letto da un’inquilina dello stesso caseggiato, alla quale il losco individuo li aveva regalati; ma ciò non toglie la spoliazione da lui perpetrata.

Anche assodata e rimasta la consumazione da parte del Ceccherelli, al quale evidentemente facevano gola i mobili della camera da letto degli ebrei, della spoliazione della camera da letto della Terracina Emma, perpetrata, è bene notare, solo pochi giorni dopo quella della Vivanti – ultimi giorni di febbraio – primi di marzo. E’ rimasto invero accertato attraverso la circostanziata dichiarazione della parte offesa, che egli, profittando dell’essersene costei e il marito allontanati, piombò in casa, costituita solo di una camera, e la vuotò di ogni mobile, anche del lettino del bambino, usufruendo del trasporto del carretto di Saraceno Ferdinando, il quale, nonostante le molte sue reticenze, non ha potuto negare che nella contingenza ebbe a prestare la sua opera ad un individuo della statura alta, che però non si è sentito in grado di riconoscere in lui. La difesa di ciò si è avvalsa per sostenere il difetto di prova in ordine alla partecipazione al fatto del Ceccherelli. Ma il detto del Saraceno urta contro l’accusa della povera danneggiata, la quale ebbe campo di assistere allo sciempio, che si faceva dei suoi mobili, e poi preceduta dal fratello, fattosi passare per ariano, avvicinatasi al Ceccherelli, si dette a supplicarlo di lasciarle almeno il materasso del bambino paralitico e ne riceveva un rifiuto.

Riguardo all’altro saccheggio gravano in maniera decisiva sul Ceccherelli e sul Consoli le dichiarazioni della danneggiata Astrologo Eleonora, e di Moscati Letizia, le quali hanno riferito come qualche sera prima il Ceccherelli, il Consoli e il Raucci, piombati in casa e qualificatisi per agenti delle SS non avendovi trovati uomini da catturare, i quali nell’imminenza del loro arrivo se ne erano allontanati, si dettero a minacciare la Moscati prendere in ostaggio il bambino di soli tre anni, il quale nel suo lettuccio dormiva, per indurre il genitore a farsi vivo. I tre loschi individui nell’allontanarsi s’impossessarono delle chiavi di casa, non senza avvertire che vi sarebbero ritornati. E di fatti vi ritornarono di lì a un paio di giorni usufruendo delle chiavi in loro possesso, e non avendovi trovato alcuno, la vuotarono di ogni mobile, financo dell’umile scopa. Al trasporto dei mobili provvidero i carrettieri M. Umberto e il surrichiamato S. Ferdinando.

Di questi il M. […] ha fornito elementi per l’identificazione di uno solo dei tre individui che presenziarono al carico dei mobili, cioè, del Consoli, indicandolo come monco di un braccio e come quegli che dava fretta durante il carico. Il S. non ha riconosciuto nemmeno il Consoli, tra gli imputati, pure avendo affermato che un individuo privo di un braccio aveva assistito per un po’ alle operazioni di carico a cui aveva assistito un altro individuo dalla grossa statura, il quale insieme ad un altro la sera precedente l’aveva ingaggiato e poi al momento dello scarico gli aveva venduto per lire cento un lettuccio per bambino e gli aveva pagato il nolo. Ma ha suggerito alle reticenze di questi due testimoni la dichiarazione della Moscati. Costei dalla casa di una sua congiunta, posta quasi di fronte a quella dell’Astrologo, notò che alle operazioni di carico presenziarono il Ceccherelli, il Consoli ed un altro individuo, il quale, pure essendo di statura bassa, come il Raucci non è stato da lui riconosciuto per costui, non avendone potuto al momento del fatto, bene scorgere il volto e percepire i connotati. E sulla scorta di siffatta testimone non puossi che ritenere che senza dubbio parteciparono alla spoliazione il Consoli e il Ceccherelli e devesi dubitare che alla stessa avesse partecipato il Raucci, benché della stessa statura del terzo individuo e benché qualche sera prima fosse stato cogli altri due in quella casa e cogli stessi se ne fosse impossessato delle chiavi, le quali circostanze costituiscono gravi indizi a suo carico e non consigliano una piena formula assolutoria.

Nei fatti commessi dal Ceccherelli e dal Consoli i difensori hanno sostenuto in via subordinata che sia da ravvisarsi il reato di furto e non di saccheggio, in quanto il saccheggio, richiedendo giusta il disposto dello articolo 419 C.P., il concorso di più fatti della specie, non attaglia a fatti commessi a distanza di tempo fra loro, come, a loro dire, quelli che ne occupa

Il collegio non può convenire in questa tesi; i fatti accertati costituiscono dei veri e propri saccheggi ed i due spregevoli individui non possono non risponderne.

Il legislatore, nel formulare il reato di saccheggio con la generica espressione, contenuta nella su richiamata norma di legge, “commette fatti di saccheggio”, lascia all’interprete di trarre la nozione del reato specialmente dal significato lessicale della parola “saccheggio”, che, secondo il linguaggio comune, è sinonimo di spoliazione, deprivazione, messa a sacco.

Ora, stando a tale significato, non puossi non riconoscere che fatti di saccheggio sono quelli accertati, in quanto le case della seta, vibranti, Terracina e Astrologo furono appunto spogliate del loro contenuto: basti dire che Terracina Emma fu privata finanche del materassino del bambino e astrologo Eleonora finanche dell’umilissima scopa. È esatto che, interpretata letteralmente, la laconica espressione usata dal legislatore “fatti di saccheggio” lascia intendere che una sola spoliazione, senza il concorso di un’altra, non integri la figura criminosa di saccheggio. E non si nasconde il collegio che tale interpretazione costituisce il precipuo sostrato dell’insegnamento (sentenza cassazione 4 maggio 1946-in giustizia penale 1986-col. 283), per cui il reato di saccheggio, così come è formulato dall’articolo 419 richiamato, implica il concetto di più depredazioni, con o senza violenza, e quindi di più rapine o di più furti, commessi da una o più persone durante una pubblica calamità e in uno o più contesti di azione; e per cui un solo fatto, benché di vera e propria spoliazione, solo perché non concomitante o non seguito in termine breve da altro, va punito a minore titolo, analogamente alla devastazione, che pure ivi è contemplata, della quale un solo fatto costituisce il minore reato di danneggiamento. Ma tale insegnamento urta contro il pensiero del legislatore, quale è rivelato dalle disposizioni relative ad altri reati (articoli 244 245 526 322 355 422 codice penale) per i quali è usato il plurale nell’enunciazione degli elementi costitutivi, pur essendo sufficiente un solo fatto ad integrarli; ed urta altresì contro il rilievo che nessun motivo plausibile ad eccezione della succitata interpretazione letterale, chiarisce perché in ordine ai reati di saccheggio e di devastazione, il legislatore pure avendo usato il plurale, abbia voluto diversamente stabilire.

Questi criteri, che, è bene notare, sono avvalorati da altro insegnamento della dottrina e della giurisprudenza (Cassazione 11 marzo 1946 - giustizia penale 1946 - col. 287), convincono che l’espressione “fatti di devastazione o di saccheggio” sia stata adoperata a scopo in determinativo, come negli altrui casi sopra enumerati, e non già per precisare che più o per lo -2, debbano essere le violazioni di legge costituenti questi gravissimi reati, i quali perciò ben possono essere realizzati da un solo fatto, che ne presenti gli estremi obiettivi e subiettivi

nel caso che ne occupa i fatti rimasti accertati non solo costituiscono pur singolarmente riguardanti delle vere e proprie spoliazioni, avendo i saccheggiatori spogliate di tutto le case delle povere vittime, ma risultano avere offeso non già diritti patrimoniali soltanto, bensì anche il bene di molto maggiore della sicurezza e della tranquillità pubblica. Difatti vennero consumati in periodo di calamità pubblica, quale fu l’occupazione tirannica tedesca, in cui schiere di efferati razziatori turbando la sicurezza e tranquillità pubblica appunto, compivano, ora l’una ora l’altra, scorrerie nella città di Roma specialmente a danno di israeliti che, per sfuggire alle spietate persecuzioni tedesche, erano stati costretti ad abbandonare le loro case e posti così nell’impossibilità di esercitare una qualsiasi tutela sui loro beni. E di queste schiere facevano parte indubbia il Ceccherelli e il Consoli, come stanno a dimostrare le imprese da loro consumate in danno delle indifese famiglie ebree; e pertanto non solo il primo, a carico del quale sono stati accertati ben quattro fatti di saccheggio, ma anche l’altro, benché a suo carico ne sia risultato uno solo. Debbono rispondere del grave reato rubricato che nei confronti del Ceccherelli, a sensi dell’articolo 81 cap. C.P., va ritenuto continuata.

Peraltro, per completezza di indagine il collegio non può trascurare di porre in rilievo che anche nella scorta dell’insegnamento meno rigoroso, del quale si è fatto cenno, i due imputati non potrebbero sfuggire a detta responsabilità, essendo i primi tre fatti di spoliazione, che fanno carico al solo Ceccherelli, non lontani fra loro nel tempo, ed essendo l’altro, che è a carico anche del console, connesso ad altra, del quale si è avuto notizia durante il corso del dibattimento e non potrebbe non tener conto ai fini della decisione.

Difatti la spoliatezza della casa della seta fu consumata in tre giorni consecutivi (prima quindicina del dicembre 1943) e da sola costituirebbe un primo saccheggio a carico del Ceccherelli, stante che si tratterebbe di tre distinte depredazioni. Quella poi della casa Terracina seguì di soli pochi giorni l’altra in danno della Vivanti (primi di marzo-ultimi giorni di febbraio) e però sussisterebbe a carico del Ceccherelli un secondo reato di saccheggio. Infine la spoliazione in danno dell’astrologo Eleonora, avvenuta nei primi dell’aprile, fu concomitante con altra in danno di altra israelita Moscati Eugenio. Ciò è risultato accertato attraverso la dichiarazione della astrologo, la quale ha dichiarato che dai saccheggiatori si provvide a completare il carico con mobili prelevati dalla casa vicina di un’altra disgraziata, cioè, della Moscati Eugenia e che dal Consoli, durante il saccheggio, fu sparato un colpo di rivoltella contro uno specchio della Moscati. E in parte è stato ammesso dal reticente saraceno, il quale non ha negato di essere stato il suo carretto completato con mobili presi da una casa di fronte a quella dell’astrologo ed ha rettificato informazione, da lui a costui data, nei riguardi dello sparo del colpo di rivoltella contro uno specchio che ha ricordato essere opera non del monco (consoli) ma dell’individuo dalla grossa statura.

Nessuno degli imputati merita alcuna delle evocanti attenuati.

Il consoli non può fruire dell’attenuante di cui all’articolo 26 codice penale militare di guerra. A parte che gli atti di valore compiuti non sono in alcun modo provati, trovando conforto solo in affermazioni di lui, le quali possono meritare alcuna fede, purché provenienti da individuo, il quale, pur prescindendo dalla sua partecipazione alla vicenda che ne occupa, è propri live alla menzogna e al falso, come attestano le tessere di identità con fotografia sequestrategli, in cui assumendo il cognome della moglie, si fa passare sotto le generalità di Passio Ottavio come studente universitario, sta in fatto che nemmeno la mutilazione subita in guerra egli appare meritevole di detto beneficio. E ciò per la figura s’pregevolissima di lui quale appare da tutta la vicenda nella quale egli, assieme al Ceccherelli, assunse un ruolo di primo piano, come prova l’intensa attività criminosa spiegata. Egli, perché mutilato di guerra e per di più appartenente al corpo delle guardie armate repubblichine non può temere di essere deportato o avviato al servizio obbligatorio del lavoro, tuttavia si arruolò nelle SS italiane e si asservisce maggiormente al tedesco invasore, ma non per passione politica, bensì per fine di lucro.

Difatti cattura ebrei, ovunque si trovi, e non per odio contro gli stessi bensì per percepire i premi stabiliti dal comando tedesco; e si dimostra inesorabile nelle fatture, come si desume dall’avere fatto uso della rivoltella contro il catturato Di Porto Pacifico, che si era dato alla fuga [ill.] ragazza era aggrappata alla carrozza, che trasportava lontano da lei e per sempre il povero fidanzato. Pur di procurarsi denaro non esita a partecipare ad estorsioni, come quella in danno degli ebrei a Pavoncello Anselmo e di porto Alberto […], E ne tenta altra in danno di Moscati Letizia, minacciando di prendere in ostaggio un bambino di soli tre anni, ove il genitore non si fosse fatto vivo o non gli fosse stata versata una grossa somma. E nemmeno esita a partecipare a saccheggi, come attesta la spoliazione dell’abitazione della povera astrologo e di quella di Moscati Eugenio. È indubbiamente un essere abietto, al quale non può provare, ai fini della determinazione della pena, la circostanza della mutilazione patita in guerra.

Né il consoli e nemmeno gli altri imputati possono beneficiare delle attenuanti di cui agli articoli 114 e 312 codice penale, dovendosi escludere, sulla scorta delle risultanze processuali, che avessero avuto una minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione dei delitti risultati a loro carico e che avessero prodotto danni di particolare tenuità e commesso fatti di lieve entità, per essere tutto ciò contrastato dall’intensa attività spiegata nel consumare i gravi delitti e dai numerosi lutti da questi derivati.

Anche le circostanti attenuanti non avvisasi giusto concedere. L’essere gli imputati cresciuti sotto il clima fascista, l’essere stati travolti dalla passione politica e ingannati da propaganda menzognera, il non avere saputo, all’atto dell’armistizio, discernere quale fosse la via giusta da seguire sono nella specie tutti argomenti stereotipati che non possono essere presi in considerazione, tanto più che non si tratta di individui di età che mi possa far ritenere essere, al momento dei fatti, ancora inesperti e nuovi alla vita. E si tratta di individui profittatori della catastrofe abbattutasi sulla patria, di individui senza scrupoli e solo curanti del proprio interesse, come si dimostravano con l’asservirsi al nemico invasore per basso fine di lucro e con non preoccuparsi, nello svolgimento del loro abbietta attività, della fine e delle sofferenze a cui mandavano contro le povere incolpevoli vittime. Alcuni di essi, pur di procacciarsi danaro, ricorso, oltre al vile mestiere di spia, a ricatti, estorsioni, a saccheggi; e qualcuno tese anche agguati alle vittime (Ceccherelli nell’episodio mieli Sonnino).

Tutto ciò, oltre a far negare le chieste attenuanti generiche, consiglia il collegio a non attenersi, nella fissazione delle pene al minimo edittale, soprattutto nei riguardi del Ceccherelli e del consoli, l’attività dei quali fu più intensa e produsse maggiori lutti e maggiori danni.

Pertanto al Ceccherelli e al Consoli per il reato di collaborazione avvisa sia adeguata la pena di anni 17 di reclusione e per quello continuato di sequestro di persona anni cinque della stessa pena, e riguardano al saccheggio, che per il Ceccherelli è aggravato dalla continuazione, la pena rispettiva di anni 12 e alle otto di reclusione. Consegue che la pena per il Ceccherelli, perché ascendente complessivamente ad anni 34, deve, a termine dell’articolo 78 codice penale ridursi entro limiti di anni 30.

Pena adeguata per il Raucci stimasi la reclusione per anni 12 in ordine al reato di collaborazione e di anni tre per il sequestro continuato di persona; e per il Policari   per gli stessi reati rispettivamente anni 10 ed anni due.

Il reato di collaborazione e quello di sequestro di persona non sono coperti da amnistia, perché commessi a scopo di lucro.

[ill.] essere stata contestata nel decreto di citazione la circostanza del fine di lucro, l’amnistia debba applicarsi non solo al reato di collaborazione ma anche ai reati allo stesso commessi (per il difensore del consoli finanche al saccheggio). Ma tutto ciò è addirittura assurdo. Innanzi tutto detta circostanza non attiene né al titolo dei reati, ne hai fatti che determinarono le imputazioni e non doveva perciò essere contestata.

Inoltre durante il dibattimento fu implicitamente contestata come dimostra il rilievo che formò oggetto di dirigente indagini al punto che costrinse il Ceccherelli a ritrattare qualche ammissione da lui fatta in periodo istruttorio, importante il riconoscimento dello scopo di lucro in qualche episodio di collaborazione, e indusse il collegio di difesa a chi per l’ammissione dei testi Ambrosini e Bernatti, detenuti a loro volta per collaborazionismo, per dimostrare che gli agenti delle SS italiane, perché stipendiati, non avevano diritti a premi per catturare gli ebrei, essendo i premi spettanti ai delatori, e a dolersi dell’ordinanza che disattesa la loro richiesta.

Infine, e ciò è assorbente, il decreto di citazione risulta richiesto dal procuratore generale l’8 aprile 1946 e non poteva perciò contenere alcuna menzione di quella circostanza relativa dell’amnistia che, come è noto, fu elargita in tempo successivo.

Che poi i reati suddetti siano stati consumati a scopo di lucro è palmare, essendo emersi al dibattimento elementi probatori convincenti.

Incominciò ad ammetterlo il Raucci coll’affermare essersi adattato, in società col Policari, a vendere le merci sequestrate dal Consoli e dal Ceccherelli per ricavare un guadagno. E questa circostanza, posta in relazione coll’essere il Policari informatore dei tedeschi e l’altro, come il Consoli e il Ceccherelli, agente delle SS italiane, dimostra chiaramente come fra i quattro si fosse formata una società a delinquere diretta a sfruttare, a scopo di lucro, la loro qualità di cooperatori dei tedeschi invasori. Il che trova conferma nella vita dispendiosa menata dai quattro col frequentare alberghi e trattorie, laddove il Raucci e il Policari avevano famiglia e casa propria in Roma, e gli altri avrebbero potuto usufruire delle mense e degli alloggi riservati agli agenti delle SS, in via Tasso, e trova altresì conferma, per quanto riguarda il Policari, nell’affermazione del teste Paolessi, che il muratore Policari, pur non lavorando, non menava più vita stentata e mandava la moglie adorna di gioielli, e nella notorietà che i tedeschi compensavano profumatamente il delatore, e tale quegli era.

Per quanto riguarda gli altri, l’esito dell’indagine rivelasi molto più soddisfacente, concorrendo altri elemento probatori.

Difatti, o il Ceccherelli, o il Raucci confessò, in occasione dell’episodio del mancato arresto di ebrei alloggiati alla pensione Ilaesdlin (sic), al teste Montaldo che per ogni ebreo catturato era compensati con cinquemila lire; e cioè non può non riguardare tutti e tre i partecipanti a quella impresa e non può far ritenere che anche per le altre catture di ebrei avessero percepito quel premio.

Il Ceccherelli ammise nell’interrogatorio reso il 23 maggio 1946 di aver percepito lire quattromila per la cattura di Piattelli Marco e Fiorentino Giacomo. E nulla dice che ciò è da lui stato ritrattato al dibattimento, in quanto tale ritrattazione, siccome è chiaro, appalesasi non credibile e non può per ciò essere attesa.

Inoltre, e ciò trova conforto nell’insegnamento della Corte suprema […], lo scopo di lucro, di cui all’art.3 ultima sanzione del decreto d’amnistia, non può non riscontrarsi nell’impunità da loro goduta, quali agenti delle SS. nel commettere per proprio conto altre operazioni delittuose contro la proprietà, specialmente in danno di ebrei, impossibilitati a far valere i propri diritti, altrimenti sarebbero stati scoperti, sia perché il comando tedesco li proteggeva e non li perseguitava né permetteva che lo fossero, e sia perché le parti offese si guardavano dal denunziarli per timore di rappresaglie.

Difatti gli ebrei Pavoncello e Di Porto si astennero dal denunziarli per l’estorsione di lire quarantamila subita sotto la minaccia di arresto; e le famiglie Della Seta, Vivanti , Terracina non altrimenti si comportavano nei confronti del Ceccherelli e di altri per i saccheggi patiti; e così pure l’Astrologo, vittima di altro saccheggio nei confronti di Ceccherelli e Consoli.

Adunque si è di fronte ad un complesso di elementi, l’uno più grave e più convincente dell’altro, che non possono non condurre all’accertamento della circostanza dello scopo di lucro, ostativa dell’amnistia, per quanto ha tratto dai delitti di collaborazione e di sequestro di persona, il quale secondo reato non potette non essere commesso se non a scopo di lucro, come l’altro al quale è intimamente commesso.

Nullaosta al condono di anni cinque della pena irrogata al Policari e di un terzo di quella inflitta al Ceccherelli, al Consoli e al Raucci, avvertendo che, nei riguardi del Consoli, poiché non trattasi di delinquente abituale, professionale o per tendenza […] non costituisce ostacolo la condanna di anni dodici di reclusione, che ha ammesso di avere riportato in base a recente sentenza del Tribunale militare di Roma, confermata dal Tribunale supremo di guerra e marina.

Il reato di collaborazione militare ascritto allo stesso Consoli gode dell’amnistia, non ricorrendo alcuna causa ostativa e non avendo alcuna connessione con quello di collaborazione politica consumato in altra epoca e in altro luogo.

Il Consoli non può rispondere del sequestro di persona in danno di Fuccio Orazio, avendo egli proceduto all’arresto di costui in servizio di P.S., quale guardia armata repubblichina, che, siccome è noto, modellata sull’Arma dei carabinieri, attendeva al servizio di ordine pubblico.

Né deve rispondere del tentato arresto dell’ebreo Terracina Alberto, in quanto, non essendosi potuto avere chiarimenti dal giovane a noma Paolo (non meglio identificato) , di essere ricercato dall’ imputato per essere arrestato, non si hanno elementi sufficienti circa la sussistenza obbiettiva e subiettiva del reato.

Del Fiorito, imputato di collaborazione politica col tedesco invasore per la cattura, avvenuta il 4 marzo 1944, degli ebrei Sonnino Pacifico e Perugia Angelo e di sequestro di persona in danno degli stessi, non può affermarsi la responsabilità, ma non perché ne sia rimasta provata completamente l’innocenza.

Che Ghego Anna, la teste che fu arrestata insieme al Sonnino, col quale era in compagnia, e fu trattenuta in arresto per poche ore, in seguito alle prime indagini ebbe a riconoscere nel Fiorito uno dei catturatori suoi e del Sonnino, non abbia avanti il giudice istruttore e al dibattimento insistito nel riconoscimento – non costituisce elemento comprovante in maniera persuasiva la non partecipazione dell’ imputato al fatto, dappoichè il mancato riconoscimento può bene attribuirsi a cattivo ricordo della teste e al lungo tempo trascorso ha il fatto e il raccoglimento della ricognizione  ed opporre inverosimile la giustificazione, resa dalla teste al dibattimento, di avere riconosciuto avanti ai carabinieri il fiorito, perché soggiogata da suggestioni nel sentire i presenti accusarlo di spionaggio a favore dei tedeschi e in danno di ebrei.

Per altro l’alibi presentato non è riuscito, dappoichè il teste Casadei non è stato in grado di precisare se fu proprio il 4 marzo e non già il giorno successivo che ebbe ad accompagnare fuori Roma l’imputato. E non ha poi valore l’argomento che questi commerciava in società con l’ebreo Sermoneta Aurelio, il quale, e così pure altri israeliti amici di esso imputato, non ebbe a subire alcuna molestia dai tedeschi; e nemmeno il fatto di avere dato incarico all’avv. Achillini di stendere querela contro tal Ruggieri per ingiurie perché ne era stato tacciato di spia, non trattandosi di circostanze che possano fare escludere in via assoluta la colpevolezza di lui.

Tutto ciò premesso balza evidente che il fiorito debba essere assolto con formula dubitativa e non già piena.

Ritenuto che i prevenuti condannati sono tenuti in solido al pagamento delle spese processuali.

Che gli stessi sono tenuti altresì verso le parti offese, costituite parti civili ai danni da liquidarsi in separata sede ed alle spese liquidate come appresso.

Che in ordine alla questione sollevata dal difensore del Raucci anche durante la discussione finale circa le regolarità delle ricognizioni personali eseguite durante il dibattimento senza le formalità di cui agli art. 360 […], il collegio non può non riportarsi alle considerazioni dell’ordinanza escussa in sede dibattimentale, urtando [ill.] del difensore contro il disposto dell’art. 461 […] per le quali [ill.] e gli altri mezzi di prova ivi elencati vanno nel giudizio [ill.] secondo le regole stabilite per l’istruzione formale sempre e [ill.] possano dette regole trovare applicazione, ed essendo inconcepibile pretesa applicazione di tali norme a riconoscimenti di persone durante il dibattimento, data la pubblicità di esso.

Il primo: a) del delitto […] per avere in Roma posteriormente all’8 settembre 1943 in concorso con altri appartenenti alle SS Italiane, collaborato con il tedesco invasore, favorendone i disegni politici fornendo utili indicazioni per la ricerca e la cattura di ebrei e partecipando materialmente:

a) in concorso con ignoti alla cattura di Efrati Leone, Efrati Romolo 7.5.1944;

b) in concorso con Consoli Italo alla cattura di Moresco Cesare, Moresco Zaccaria il 29.4.1944; Livoli Pacifico, Spizzichino Eugenio il 25.3.44; Fiorentino Giacomo, Piattelli Marco il 7.4.44; Salmoni Romolo, Di Castro Giorgio il 30.4.44

c) su indicazione di Policari Giovanni e di Raucci Raffaele ed in concorso con Civetti Alceste (processato dal tribunale militare) alla cattura di Vivanti Angelo, Moscati Vito, Di Consiglio Cesare, Vivanti Giacomo il 25.2.1944;

d) in concorso con Consoli Italo e Raucci Raffaele al tentato arresto di sei ebrei di nazionalità francese, non identificati, in una pensione di Via Palestro il 4.5.44.

e) in concorso con Fiorito Giulio alla cattura di Sonnino Pacifico e Perugia Angelo il 4.3.44

f) del delitto […] per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo a) della rubrica in concorso con i predetti, e in più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, privato o tentato di privare le nominate persone della libertà personale;

g) del delitto previsto e punito dall’art. 419 per avere nelle circostanze di tempo e di luogo di cui ai capi precedenti saccheggiato le abitazioni di Vivanti Sara (25.2.44), Terracina Emma (Marzo 1944), Della Seta Angiolino (12.12.43) ed in concorso con Consoli Italo e Raucci Raffaele quella di Astrologo Eleonora (4.4.44);

Il Ceccherelli anche a) del delitto di cui all’art. 58 […], per avere posteriormente all’8 settembre 1943, collaborato, quale agente delle SS Italiane, col tedesco invasore, procedendo alla cattura degli ebrei Piperno Angelo e Mieli Mario, il primo dei quali venne deportato in Germania. b) del delitto di cui all’art. 605 c.p. per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo privato le predette persone della libertà personale.

c) del delitto di cui all’art. 419 c.p. per avere in Roma, in epoca imprecisata, posteriore all’8 settembre 1943, saccheggiato l’abitazione di Della Seta Maria Teresa, asportandone tutte le masserizie.

Il Secondo: a) del delitto […], per avere [partecipato] posteriormente all’8.9.1943 quale ufficiale ad operazioni belliche sul fronte adriatico;

b) del delitto p.p. stessa legge per avere in Roma, posteriormente all’8 settembre 1943, in concorso con altri appartenenti alle SS Italiane collaborato con il tedesco invasore favorendone i disegni politici, fornendo utili indicazioni per la ricerca e la cattura di ebrei e partecipando materialmente;

a) alla cattura di Di Fuccio Orazio (6.11.43), Sed Pacifico, Calò Davide (21.4.44), Di Porto Pacifico (17.4.44), nonché tentando di arrestare Terracina Alberto (marzo 1944).

c) in concorso con Ceccherelli Renato alla cattura di Moresco Cesare, Moresco Zaccaria (29.4.44), Livoli Pacifico, Spizzichino Eugenio (25.3.1944), Fiorentino Giacomo, Piattelli Marco (7.4.44); Salmoni Romeo, Di Castro Giorgio (30.4.44);

c) in concorso con Ceccherelli Renato e Raucci Raffaele al tentato arresto di sei ebrei di nazionalità francese non identificati (4.5.44);

d) su indicazione di Policari Giovanni ed in concorso con Raucci Raffaele alla cattura di Pavoncello Davide (20.5.44);

c) del delitto […] per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo b) della rubrica, in concorso con i predetti e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso privato o tentato di privare le nominate persone della libertà personale.

d) del delitto […] per avere in concorso con Ceccherelli Renato e Raucci Raffaele saccheggiato l’abitazione di Astrologo Eleonora (4.4.44);

 

Il Terzo: a) del delitto […] per avere in Roma, posteriormente all’8 settembre 1943 insieme con altri appartenenti alle SS Italiane, collaborato con il tedesco invasore, favorendone i disegni politici, fornendo utili indicazioni per la cattura di Vivanti Angelo, Vivanti Giacomo, Moscati Vito, Di Consiglio Cesare (25.2.44) e partecipando materialmente, in concorso con Consoli Italo e su indicazioni di Policari Giovanni alla cattura di Pavoncello Davide (22.5.44), ed attentato arresto di sei ebrei francesi in una pensione di Via Palestro (4.5.44)  in concorso con Consoli Italo e Ceccarelli Renato

b)  del delitto […] per aver nelle medesime circostanze di tempo e luogo al capo a) della rubrica, in concorso con i predetti e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, privato o tentato di privare della libertà personale le predette persone

c) del delitto […] per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui ai capi precedenti in concorso con Consoli Italo e Ceccherelli Renato saccheggiato l’abitazione di Astrologo Eleonora (4.4.44);

Il quarto: a) del delitto […] per avere in Roma posteriormente all’8.9.1943, insieme ad appartenenti alle SS italiane collaborato con il tedesco invasore favorendone i disegni politici, fornendo utili indicazioni della cattura di Vivanti Angelo, Moscati Vito, Vivanti Giacomo, Di Consiglio Cesare, Pavoncello Davide, Pavoncello Angelo, Funaro Pacifico, Marino Angelo.

b) del delitto […] per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo precedente fornito utili indicazioni per privare le predette persone della libertà personale.

Il Quinto: a) del delitto […] per avere posteriormente all’8.9.1943 in concorso con Ceccherelli Renato ed altri appartenenti alle SS italiane, collaborato col tedesco invasore favorendone i disegni politici, fornendo utili indicazioni per la ricerca degli ebrei e partecipando all’arresto di Perugia Angelo e Sonnino Pacifico;

b) del delitto […] per avere nelle medesime circostanze di tempo e luogo di cui al capo precedente ed in concorso con i predetti privato le nominate persone della libertà personale.

Visti gli art. 5 D.L.L. 5 luglio 1944 n. 159-58 C.P.M.G., 605, 419, 56, 81, 29, 32 C., 483, 488, 489 C. P. P.;

Dichiara Ceccherelli Renato fu Antonio, Consoli Italo fu Giuseppe, Raucci Raffaele fu Oreste e Policari Giovanni fu Costantino colpevoli di collaborazione politica con il tedesco invasore e di sequestro continuato di persona, escluso per il Consoli il tentato sequestro di Terracina Alberto e il sequestro di Di Fuccio Orazio. – Dichiara inoltre il Ceccherelli colpevole pure di saccheggio continuato, così modificato il corrispondente capo di imputazione, e il Consoli dello stesso reato di saccheggio […] di Astrologo Eleonora come in rubrica.

Condanna il Ceccherelli e il Consoli alla reclusione per la durata di anni trenta ciascuno, il Raucci ad anni quindici della stessa pena ed il Policari ad anni dodici; tutti all’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed a quella legale durante l’espiazione della pena.

Condanna tutti i sunnominati in solido alle spese del giudizio e, [ill.] a quelle del prprio mantenimento in carcere durante la custodia preventiva.

V.l’art.479 C.P.P. assolve Fiorito Giulio dai reati ascritti [ill.] in rubrica per insufficienza di prove; -Consoli dal tentativo di sequestro di Terracina Albero per insufficienza di prove e dal seguente Di Fuccio perché il fatto non costituisce reato.

V. gli art. 3,9, ll D.P. 22/6/46 n. 4; dichiara non doversi procedere a carico di Consoli Italo in ordine al reato di collaborazione militare con il tedesco invasore per estinzione del reato a seguito di amnistia.

Dichiara nei confronti del Ceccherelli, Consoli e Raucci ridotti [ill.] le sopra inflitte pene per un terzo e nei confronti del Policari nella misura di anni cinque. 

Roma 8 febbraio 1947 

ANNO:

1947

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Roma. II Sezione speciale

PRESIDENTE:

Sciaudone Angelo

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione, Saccheggio,

ACCUSATI:

Ceccherelli Renato
Consoli Italo
Fiorito Giulio
Policari Giovanni
Raucci Raffaele

VITTIME:

Astrologo Eleonora
Calò David
Della Seta Angiolino
Della Seta Maria Teresa
Di Castro Giorgio
Di Porto Pacifico
Efrati Leone
Efrati Romolo
Fiorentino Giacomo
Funaro Pacifico
Livoli Pacifico
Marino Angelo
Mieli Mario
Moresco Cesare
Moscati Letizia
Moscati Vito
Pavoncello Davide
Perugia Angelo
Piattelli Marco
Piperno Angelo
Salmoni Romeo Rubino
Sed Pacifico
Sonnino Pacifico
Spizzichino Eugenio
Spizzichino Giacomo
Terracina Alberto
Terracina Emma
Vivanti Angelo
Vivanti Giacomo
Vivanti Sara

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Roma, Corte assise speciale, f.136

BIBLIOGRAFIA:

Martino Contu, Mariano Cingolani, Cecilia Tasca, I martiri ardeatini. Carte inedite 1944-1945, AM&D Edizioni, Cagliari, 2012 Anna Foa, Portico d'Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del '43, Laterza, Bari-Roma, 2013 Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia (a cura di), Dopo il 16 ottobre. Gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944), Viella, Roma, 2017