M. Egidio

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In esito all’odierno pubblico dibattimento, tenutosi in contraddittorio dell’imputato. Sentito imputato, i testi, il P.M. e la difesa.

Motivi in fatto ed in diritto.

Ravà Alessandro, di razza ebraica e Castiglioni Franco, ex agente dell’autocentro nell’esercito repubblicano, dopo l’insurrezione liberatrice dell’aprile 1945, con denunzia al Comitato di Liberazione Nazionale del 7 maggio, provocavano l’arresto di M. Egidio per un duplice ordine di fatti.

Lamentava il Ravà che il M., frequentando come cliente il suo esercizio di bar-bottiglieria in corso Buenos Aires di questa città da vari mesi, e quindi al corrente della sua condizione di appartenente alla razza ebraica, dopo l’emanazione delle leggi di persecuzione razziale del Governo fascista, si fosse dato con grande impegno alla scoperta del suo nascondiglio prima nel territorio di Sondrio dove si era rifugiato e poi in Milano ove aveva dovuto trasferirsi successivamente, mettendo anche in moto le Brigate Nere del gruppo Oberdan, dove contava un amico nella persona del Ten. Bellis, per fargli perquisire la casa e fermare persone di famiglia, sempre allo scopo di arrestarlo.

Il Castiglioni a sua volta lamentava che il M. avesse, con lettera anonima diretta al Comando Regionale nella quale gli si attribuivano gravissimi fatti (come quelli di favorire i prigionieri e gli ebrei, di danneggiare l’esercito tedesco, di parlar male del governo fascista etc.), provocato il suo fermo e l’inizio di una inchiesta, [ill.] solo in seguito all’interessamento di persone amiche che si trattava di [ill.] immaginarie fantastiche, così da venire alla fine liberato.

Deponendo come testimonio a conferma della denunzia il Ravà ha insistito nel riferire la propria certezza che le informazioni degli agenti e dei militi della Brigata Nera capeggiata dal tenente Bellis movessero e partissero proprio dal M., soggiungendo che il Bellis agiva tuttavia indiscriminatamente soltanto per istigazione dell’imputato di cui era amico, senza [ill.] dei suoi superiori. E detto ciò per risentimento personale, in quanto gli era stato fatto comprendere l’inopportunità che continuasse, essendo egli sposato, a fare la corte alla propria figlia Elsa.

Il Castiglioni a sua volta ha precisato sulle persone di certo Magno Amedeo e del Reverendo don Giov. Bertolli quelli a cui il M. aveva finito per confessare ed ammettere di essere l’autore della lettera anonima diretta al Comando Regionale, e davanti a cui volta in [ill.] ritrattato le accuse in una dichiarazione scritta davanti al Comando medesimo.

Difendendosi dall’imputazione mossagli di collaborazionismo coi tedeschi, il M. ha sostenuto anzitutto di non essere mai stato simpatizzante, ma anzi avverso al fascismo, al quale non aveva mai appartenuto né prima né dopo l’8 settembre 1943.

Quanto al Ravà, ha recisamente negato di avere mai fatto alcunché per farlo perseguitare o tentare di arrestarlo, pur sapendo benissimo dove si era nascosto prima in quel di Sondrio e poi in Milano. Tutta l’accusa non era che una montatura calunniosa per sbarazzarsi di lui, dato che da vari anni era in intima relazione amorosa colla figlia Ravà Elsa, con la piena conoscenza dei genitori di lei.

In merito al caso del Castiglioni, negava di essere stato l’autore di alcuna lettera anonima. Vero era invece soltanto che per interessamento del Magno, amico del Castiglioni, si era indotto a far credere di essere autore dello scritto anonimo al solo scopo di revocarne il contenuto come falso e fantastico e così giovare alla situazione del Castiglioni, come infatti si verificò.

Osserva e rileva la Corte come dal complesso delle prove raccolte una cosa preme con certezza di debba desumere: cioè, che il M. si era perdutamente invaghito della figlia del Ravà Fernando, a nome Elsa. Ciò si rileva dalle ammissioni di quest’ultimo, nonché di quest’ultima, nonché da lettere e memoriali scritti dalla giovane e dal M. stesso, che sono fra i documenti prodotti dal difensore.

Lo stesso M. ha poi riconosciuto che ad un certo punto la Ravà Elsa gli aveva manifestato il proposito di troncare la relazione. Senza che sia d’uopo indagare fino a qual punto questa fosse arrivata è comprensibile che il perdurare della relazione stessa non potesse che nuocere alla giovane dato che il M. aveva moglie ed un figlio, da cui viveva separato. Onde la risoluzione di troncare quei rapporti.

D’altro canto è anche accertato che il Castiglioni, altro cliente abituale dell’esercizio, aveva posto gli occhi sulla Elsa, ed aveva iniziato con qualche successo a corteggiarla.

Da ciò è naturale che nascesse uno stato di risentimento nell’animo del M., ingiustificato ma tuttavia spiegabile in una mente dalla passione [ill.]. Risentimento sia contro il Castiglioni che contro i Ravà tutti, schieratiti solidali in difesa della Elsa. Ora, che in tale stato d’animo il M. abbia potuto concorrere [?] a scrivere una lettera anonima contro il Castiglioni allo scopo di toglierlo di mezzo è cosa inoppugnabilmente certa per effetto delle testimonianze rese da Magno Amedeo e da Don Bertolli Giovanni. Costoro, infatti, saputo delle disavventure e dei gravi pericoli che il Castiglioni correva, sospettando che il M. ne fosse il responsabile, lo misero alle strette e non solo ottennero da lui l’ammissione di essere l’autore della lettera, ma altresì la piena ritrattazione delle fantastiche [ill.] Carletti, del Comando Mil. Regionale.

Il fatto che al M. si ascrive è, dunque, provato. Tuttavia esso non sarebbe da considerarsi suscettibile di formare materia del reato di collaborazione coi tedeschi, posta che il Castiglioni era un militare al servizio della Repubblica Italiana, non aver mai [ill.] i membri del Governo e delle gerarchie fasciste, non era mai stato un [ill.] di partigiani o di ebrei. Era insomma il Castiglioni un individuo del tutto indifferente per i fini di apprensione, militari e politici, che i tedeschi perseguivano ai danni dell’Italia invasa. Potrebbe eventualmente riscontrarsi in tale fatto a carico del M. una responsabilità di altro genere, ma non certo quella di collaborazione coi tedeschi.

[…]

E’, purtroppo, ben noto che i tedeschi nella condotta della inumana guerra di conquista da essi scatenata in Europa, tra i fini e gli scopi che si proponevano, vi era quello della persecuzione e dello sterminio degli ebrei, considerati come elementi deleteri e perturbatori del loro sogno di predominio e di egemonia.

Se il Ravà fosse stato raggiunto ed acciuffato, è da ritenere per certo che non sarebbe sfuggito alla triste sorte ed al doloroso calvario di tanti altri suoi correligionari.

Ma il fatto che riguardo il Ravà non può considerarsi con tranquillizzante certezza provato a carico del M. [ill.] quanti ha ammesso a tale riguardo. Vi sono bensì contro di lui degli elementi che ne fanno intravedere la responsabilità; tuttavia non appaiono sufficienti per un’affermazione sicura di colpevolezza.

Lo stesso astioso risentimento che lo moveva contro il Castiglioni, certamente lo animava nei confronti dei Ravà, e la stessa ragione scorretta [ill.] contro di quello può essere partita dal M. contro il Ravà Fernando.

Ma tutto ciò non va oltre la semplice, sia pure fondata, supposizione.

Nemmeno prova concreta è stata data dal Ravà per dimostrare che tale supposizione ha un fondamento certo e concreto.

Il teste Neppi Paolo, che aveva nascostamente ospitato nella sua casa il Casdione presso Sondrio il Ravà Fernando, ha [ill.] di avere [ill.] ad un certo momento da elementi della Brigata nera locale che il Ravà era ricercato in base ad una lettera anonima pervenuta da Milano. Può essere che tale anonimo fosse, come nel caso del Castiglioni, opera del M. Ma anche qui si naviga nel campo delle supposizioni.

Altra figlia del Ravà, a nome Nidia, ha esposto che al Gruppo [ill.] delle Brigate nere le era stato detto che il Ten. Bellin, nel ricercare il di lei padre agiva arbitrariamente per istigazione del M. Ma data la tensione dei rapporti esistenti fra tutta la famiglia Ravà da una parte ed il M., dall’altra, la Corte stima prudente non attribuire a tale deposizione un valore [ill.] ben potendo essere frutto di uno zelo eccessivo e non certamente rispondente a verità, tanto più che il Ravà non ha presentato alcuna denunzia contro il Bellis, che pur dovrebbe essere corresponsabile del medesimo reato.

In tale incertezza di elementi di accusa la Corte ritiene perciò che il M. debba essere assolto per insufficienza di prove.

Imputato del reato di cui all’art. 5 D.L.L. 27.7.1944 n.159, in relaz. All’art. 1 D.L.L. 22.4.1945 n.142, punito ai sensi dell’art. 58 C.P.M.G. per avere posteriormente all’8.9.1943 in Milano, mediante collaborazione col tedesco invasore e contro la fedeltà dello Stato, denunciato cittadini italiani per essere perseguitati come appartenenti alla razza ebraica oppure come elementi che avevano relazione coi partigiani ed elementi antifascisti.

Per questi motivi.

La Corte;

v. l’art. 479 c.p.p.

Assolve M. Egidio dall’imputazione ascrittagli per insufficienza di prove, e ne ordina la scarcerazione se non detenuto per altra causa

ANNO:

1945

TRIBUNALE:

Corte di Assise Straordinaria di Milano. I Sezione

PRESIDENTE:

Mottino Gianbattista

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Delazione,

ACCUSATI:

M. Egidio

VITTIME:

Ravà Alessandro

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise straordinaria di Milano, sentenze 1945, vol. 3.