Grazioli
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I fatti costituiscono le accuse addebitate all'attuale imputato Grazioli Emilio risultano principalmente dai rapporti di questura in atti che possono riassumersi come appresso.
Circa la vita politica dell'imputato si suppone dal rapporto 30 gennaio 1946 della Questura di Torino che Grazioli si iscrisse al P.N.F. il 1° ottobre 1923, con la qualifica di squadrista rimontante alla data del 21 ottobre 1921 nella quale Grazioli, con altri ufficiali del R.E. aveva costituito i fasci di Aurisina.
Nel 1925-1926 fu segretario politico del fascio di Pesana ed ebbe la nomina di ufficiale della milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Nel 1927 fu nominato ispettore di zona: nel 1929 membro del direttorio federale di Trieste: nel 1936 federale di Trento, dal 1936 AL 1941 federale di Trieste, nel 1941 Commissario civile dei territori sloveni, e nel maggio stesso anno alto commissario di Lubiana, con nomina a prefetto del Regno.
Quindi nel 1943 fu nominato Prefetto di Catania ove rimase sino allo sbarco degli alleati in Sicilia, venendo collocato a riposo il 29 Luglio detto anno.
Dopo l'8 settembre Grazioli aderiva alla Repubblica Sociale, iscrivendosi, con personale domanda diretta alla Federazione dei Fasci di Vicenza, al partito fascista repubblicano.
Nell'ottobre 1943 veniva nominato Prefetto di Lubiana ma, avendo i tedeschi diversamente disposto per tale Provincia, Grazioli aveva il trasferimento alla prefettura di Bergamo, ove rimase fino al maggio del 1944: e allora veniva trasferito alla Prefettura di Ravenna. Quivi rimase sino al fine settembre dell'anno stesso, quando, al tempo dell'uccisione di Manganiello veniva nominato Prefetto di Torino e poi alto commissario per il Piemonte, conservando tale posizione sino alla liberazione.
Il 27 aprile 1945 si allontanava con la colonna repubblicana, con la quale il 5 maggio si consegnava al comando alleato.
Passava quindi successivamente ai campi di concentramento di Parabiago, Piacenza, e Coltano, donde veniva prelevato e condotto in stato di arresto a Torino, ove subiva il suo primo interrogatorio
Con rapporti 3 Luglio e 24 ottobre 1945 della questura di Bergamo avevano inizio le specifiche accuse contro Grazioli
Esponeva infatti il commissario di P.S. Viale, che Grazioli assunse in Bergamo la carica di prefetto nell'ottobre del 1943 con la qualifica, allora [ill.] di capo della Provincia. poco prima era intanto giunto il già federale Gallarini, capo delle SS tedesche per alcune provincie e orgoglioso di tale carico, il quale ebbe subito ad investire con estrema violenza il questore Coniglio per il suo contegno durante i quarantacinque giorni di governo del maresciallo Badoglio, minacciandolo di farlo deportare in Polonia.
Il Questore, producendo opportune giustificazioni riuscì ad ammansire alquanto Gallarini, il quale, il giorno seguente, imponeva al Questore di allontanare immediatamente dal suo ufficio il commissario Viale, che doveva ritenersi in stato di arresto in casa. Dice l'autore del rapporto Viale, che in tal modo Gallarini addossava a lui le colpe, che il giorno prima aveva attribuito al Questore, e cioè quello che egli si sarebbe adossato per il modo di agire nel periodo Badogliano quale capogabinetto del Questore.
Violo non teneva conto dell'imposizione e il giorno seguente tornava in ufficio, dove il questore lo consigliava, per il bene di entrambi di astenersi dalle sue funzioni, promettendogli che si sarebbe interessato direttamente al suo caso. E dopo circa una settimana Gallarini consentiva che Viale riprendesse normalmente il suo ufficio.
Giunto Grazioli, usurpatore delle funzioni di capo provincia all'ombra delle baionette tedesche, costui accolse le pressioni del locale triunvirato (Ghialeni-Bozzi- Locastelli ) del detto Gallarini e del Federale Beriasi, impose al Viale l'allontanamento, sotto forma di trasferimento dalla sua legittima sede di Bergamo. Egli tentò in ogni modo, anche dandosi per malato, di eludere il provvedimento ma dopo tre mesi, pure per il contegno dubitoso del medico provinciale Aborto, dovette cedere: anche perché venne minacciato di essere ritenuto dimissionario e di deferimento al Tribunale Militare per abbandono del posto, mentre d'altra parte il ragioniere della prefettura Di Stefano, gli negava la corresponzione della indennità mensile di lire cinquemila.
Nel secondo dei due cennati rapporti il Commiss. Viale accennava ad una presunta responsabilità dell'attuale imputato per l'eccidio di Lovere. Quindi lo accusava esplicitamente di provvedimenti antisemiti affermando, che esso Grazioli, con inspiegabile zelo aveva dato ordine di arrestare gli ebrei ancora prima del giungere delle disposizioni relative da parte del Ministro dell'Interno della Repubblica, basandosi soltanto sulle notizie pubblicate dai giornali, pur avendo saputo qualche giorno prima da Buffarini Guido (ciò che Grazioli omise col Questore Belli ) che il governo repubblicano riteneva il problema ebraico risolto in quanto fino ad allora si era disposto che la pubblicazione nei quotidiani, prima della comunicazione ufficiale dei provvedimenti in corso, doveva chiaramente significare che il governo intendeva agevolare le vittime ebraiche in tema di arresti, internamenti, e confische contro le imposizioni tedesche
Che quindi era inspiegabile il diverso contegno del Grazioli.
Che poi, avendo il commissario di P.S. Sessa sottratto all'arresto un ebreo procurandogli un nascondiglio e accompagnandolo quindi in Svizzera. Grazioli fece opera di persecuzione contro detto dott. Sessa. Che in occasione dello sciopero di Dalmine nel 1944 Grazioli pubblicò un manifesto minacciando gli operai di farli deportare in Germania se non avessero ripreso il lavoro: ma non consta se vi furono effettivamente casi di deportazione. Che nel gennaio 1944 ordinò l'arresto del T. Col. Trucchi per il suo rifiuto di prestare giuramento alla R.S.I. sul riflesso che esso ufficiale non si intendeva sciolto dal suo giuramento al Re, e che temeva di perdere la pensione, che in effetti gliela tolse, ma gli fu restituita se non quando il povero vecchio dopo 22 giorni di arresto, spintovi dalla fame, si adattò a prestare il richiesto giuramento.
Che Grazioli ordinò personalmente al comando della G.N.R. di arrestare i famigliari dei renitenti alla leva disposta dalla repubblica e che effettivamente molti furono arrestati.
Che infine Grazioli era il principale responsabile dei fatti di Lovere, e cioè l'eccidio di tredici patrioti per rappresaglia, avendo egli pubblicato un manifesto murale con i nomi degli uccisi, quale ammonimento: il manifesto non portava intestazione né firma, ma proprio per ciò Grazioli fu tacciato di vigliaccheria, dice il rapporto, dai suoi stessi sgherri.
[…]
Reputa ora la Corte opportuno di scendere all'esame della imputazione contenuta nel numero secondo della rubrica, e cioè quella che concerne il reato di cui all'art.58 C.P. M.G.
I fatti costituenti l'addebito consiste:
1) Nell'avere perseguitato il commissario di P.S. Violo per la sua attività antifascista nel periodo del governo Badoglio, e il commissario di P.S. Sessa per manifestazioni contrarie alla campagna antiebraica: 2) nell'aver ordinato l'arresto del tenente colonnello Trucchi Serafino perché costui si era rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla R.S.I..
Il commissario Violo, nel suo rapporto 3 luglio 1945, esponeva che alla fine dell'ottobre 1945 giungeva a Bergamo l'ex federale Gallarini allora capo delle SS tedesche per alcune provincie, del che costui si vantava con esibizione della tessera relativa, e investiva con estrema violenza il questore Coniglio, minacciandolo di deportarlo in Polonia per il suo contegno durante i quarantacinque giorni del governo Badoglio. il questore riusciva in qualche modo ad ammansire quell'energumeno, ma costui il giorno 21 ottobre gli imponeva di allontanare dall'Ufficio esso Commissario Violo tenendolo anche agli arresti in casa. Ciò evidentemente, per il contegno del Violo durante il periodo Badogliano nella sua funzione di capo gabinetto del questore, addossandogli così le colpe prima mosse a Coniglio. Non tenendo conto della imposizione, il giorno seguente Violo si presentò in ufficio ove Coniglio, per considerazioni contingenti, lo invitava, con promessa di occuparsi del suo caso, a non restare in servizio, e dopo circa una settimana Gallarini permetteva a Coniglio di riassumerlo.
Qualche giorno appresso giungeva nella [ill.] con funzioni di prefetto, Grazioli, il quale usurpando le funzioni di capo provinciale all'ombra delle baionette tedesche, accettò le pressioni del triunvirato fascista di Bergamo (composto da tali Ghialeni- Bozzi - e Locatelli) dal federale Beruzzi e da Gallarini, e gli impose di allontanarsi da Bergamo, sotto l'aspetto di un trasferimento mentre quella era la sua legittima sede.
Violo tentò di evitare il provvedimento anche dandosi malato, ma dopo tre mesi, anche per l'atteggiamento del medico provinciale Abate che non voleva riconoscere la pretestata malattia ed anche perché il ragioniere della Prefettura Di Stefano, gli negava la corresponsione della indennità mensile, dovette cedere alla minaccia di ritenerlo dimissionario e di denunciarlo al Tribunale Militare per abbandono di posto.
In argomento l'imputato si difendeva asserendo, che in un primo tempo non ricordava neppure il nome di Violo e di poi, che ricordava di aver avuto pressioni dal Questore e dalla Federazione fascista per il trasferimento di esso Violo, ma non ricordava invece se egli avesse espresso parere favorevole o contrario al trasferimento stesso.
Si trova quindi al Corte di fronte alle sole accuse di chi pur essendo commissario di P.S. è un direttamente interessato e parte in causa, e ad un accusato, che in allora era superiore di chi l'accusa.
E' da notare che del reato le stesse frasi ed espressioni del rapporto Violo lasciano trasparire un che di animosità, che quando accenna ad usurpazione delle funzioni di prefetto "all'ombra delle baionette tedesche" cosa che in realtà corrisponde al vero, ma che poteva e può dirsi non per il solo Grazioli ma per tutti i prefetti della R. S. I.
Dal rapporto stesso comunque appare chiaro, che non fu Grazioli a prendere l'iniziativa contro Violo, ma i più faziosi capi fascisti della repubblica e che Grazioli, al suo giungere trovò la pratica del trasferimento già iniziata. Risulta ancora. Risulta ancora che - ad ogni modo - lo stesso Violo ammette che anche il medico provinciale e il ragioniere della prefettura non lo sorressero nella sua resistenza all'ordine di trasferimento.
Pertanto deve equamente ritenere questa Corte che, a parte la mancanza di carattere di vera e propria "persecuzione" e nel fatto esposto dal Violo, non vi sono in atti sufficienti [ill] prove del fatto stesso.
Altrettanto è a dirsi per l'episodio Sessa.
Nel rapporto Violo si dice, che Grazioli perseguitò questo commissario di P.S. perchè avrebbe sottratto all'arresto e accompagnato in Svizzera un ebreo, tale Forti, dopo averlo tenuto per qualche tempo nascosto.
Sessa chiariva, che essendo Grazioli venuto a conoscenza di ciò, lo trasferì a Savona, come esso Sessa venne a sapere dal questore Belli il quale gli aggiunse che sarebbe stato deportato in Germania ove non avesse obbedito.
Che egli tentò di resistere dandosi malato, il medico provinciale, evidentemente sobillato da Grazioli non lo riconobbe.
Che ciò nonostante, egli non accettò il trasferimento, fu dichiarato dimissionario, denunciato al Tribunale militare e da questo assolto.
Il fatto Sessa va collegato con la parte del rapporto Violo, che denuncia Grazioli persecutore di ebrei, in quanto, anzichè aderire ai concetti limitativi del governo di Salò telefonò personalmente ad esso Violo ordinandogli di impedire che qualsiasi ebreo potesse fuggire.
Ora quanto al fatto Sessa questa corte si trova nelle stesse condizioni del fatto precedente, ossia di fronte alla voce di un accusatore e cioè di un direttamente interessato, per quanto funzionario di P.S.
Inoltre nella specie vi è un qualche cosa di più perché l'imputato Grazioli affermò di aver disposto l'allontanamento del Sessa, non per motivi politici o di filoebraismo, ma per motivi morali, dappoichè aveva accertato che Sessa teneva illecite relazioni con proprietari della casa di tolleranza della città.
E su questo punto né Violo né Sessa dissero parola.
Quanto all'accusa di persecuzione contro gli ebrei il rapporto Violo non ha alcuna conferma nelle emergenze processuali.
Anzitutto nello stesso verbale non si cita alcun caso di ebrei perseguitati in seguito ad ordini o a iniziative di Grazioli. Al contrario risulta ineccepibilmente il contegno remissivo e contrario alle accuse, tenuto da Grazioli quanto meno nel caso dell’ebreo Sacerdote. I testi Giura e Riva invero deposero, che Grazioli, in obbedienza generica delle leggi allora vigenti, dispose al sequestro dei beni del su nominato israelita, ma permise subito che la ditta venisse gestita da una cooperativa del personale, chiaramente legata al suo principale; e che poi ciò facendo, Grazioli aveva in sostanza salvato la situazione poiché se egli non fosse intervenuto in tal senso tanto moderato, in ben altro senso e con altri mezzi sarebbero intervenute le autorità tedesche.
Quindi non può questa Corte non riconoscere anche su tali punti ora considerati, che non possa considerarsi giuridicamente provata la responsabilità dell’imputato.
[…]
Riassumendo e concludendo è quindi da stabilire, in base a tutte le sovra esposte considerazioni, che l'attuale imputato, per i fatti di cui al N.II) della rubrica va assolto per insufficienza di prove, e che per i fatti di cui al N. III e IV va assolto perché il fatto non costituisce reato.
Quanto ai fatti di cui al N I del capo d'imputazione Grazioli è da assolvere con formula piena per tutti, tranne per i seguenti:
- a) l'avere rivestito le cariche di prefetto di Bergamo, di Ravenna e di Torino, al commissario straordinario per il Piemonte: b) l'avere impartito al Presidente del Tribunale straordinario, quale capo provincia e commissario straordinario, per il Piemonte, ordini per severe condanne.
- c) l'avere concepito e fatto affiggere il manifesto a f. 171 da ritenersi giuridicamente costituente il reato di cui all'art. 58 C.M. PG in relazione all'art. 5 D.L.L. 27 luglio 1944 n.159, anzichè quello rubricato poiché in tali tre fatti non si concreta certo un aiuto alle operazioni militari del nemico ma un favore verso i disegni politici dello stesso.
Ne è a dubitarsi che il capo di una importante provincia come quella di Torino [ill.] che l'aver esercitato sia pure per pochi giorni e dopo molti rifiuti della carica, le importantissime funzioni di cui nel decreto 4 ottobre 1944 n.840 di Mussolini) costituisca elevata funzione direttiva ai sensi di legge.
La ragione della decisione è chiara ed intuitiva di per sé stessa, senza che occorra fare particolareggiato ricorso a citazioni della legge comunale e provinciale, la quale descrive i poteri del prefetto che in sostanza sono quelli che il passato regime attribuiva ai capi provincia., trattandosi di un cambiamento di titolo e non di potere.
Ora la Corte dopo il lungo e animato dibattito in seguito al quale venne ritenuta la reità di Grazioli sui soli tre punti sovra stabiliti, ritenne pure equa e congrua per lui la pena di anni dodici di reclusione.
Per altro sono da concedersi le attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis del codice penale poiché, valutando la gravità del reato secondo le disposizioni contenute nell'articolo 133 detto codice, è da tenere presente essere emerso da questo penale procedimento, che non furono gravi né il pericolo né il danno cagionati dal reo, e che non intenso fu il dolo: che non malvagio si dimostrò il carattere dello stesso, mentre i motivi a delinquere in questo speciale reato erano per così dire onorevoli in quanto, da complesso delle risultanze di causa, apparve che l'agente in buona fede credesse di agire nell'interesse della Patria: che infine il reo non ha precedenti giudiziari, tenne sempre buona condotta, ed anzi meritò lodi di testimoni ineccepibili per funzioni e per credibilità.
Pertanto la pena deve ridursi di un terzo, e cioè ad anni otto di reclusione, Ma poiché ancora risulta che Grazioli è stato decorato di Croce di guerra al valor militare nella campagna 1915-1918 si rende a lui ancora applicabile il beneficio disposto nell'art.26 C.P.M.G. per chi abbia compiuto come Grazioli atti di valore in fatti d'armi o in servizio di guerra.
La diminuzione da un terzo a due terzi è applicata da questa Corte nella misura inferiore e pertanto la pena in esame deve essere ridotta a quella di anni cinque e mesi quattro di reclusione.
A tale pena è applicabile il provvedimento di condono di cui nell'art. 9 citato decreto presidenziale, non ricorrendo alcuno dei casi di esclusione di cui nel seguente articolo dieci.
Resta quindi in definitiva la pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione di cui cinque condonati, ma deve ordinarsi che il condannato sia posto subito in libertà se non detenuto per altri motivi, in quanto i residui mesi quattro furono da lui ampiamente scontati con la detenzione preventiva.
Sempre poi nelle stesse condizioni di deliberazione cennate quanto al giudizio di reati sui tre punti di fatto questa Corte ha pure ritenuto che Grazioli abbia tradito la Patria ponendosi spontaneamente e attivamente al servizio degli invasori tedeschi e quindi ne pronuncia la confisca totale dei beni a vantaggio dello Stato, secondo quanto è disposto nell'art.9 del D.L.L. 27 Luglio 194 N. 159.
Le spese del giudizio la interdizione dei pubblici uffici e quella legale sono conseguenze di legge.
In ultimo è, opportuno dichiarare che non è applicabile all'imputato la attenuante specifica dell'articolo 7 dell'or citato decreto, invocata pure dalla difesa, in quanto non sussiste il caso di cui alla lettera a) ed in quanto il contegno di resistenza del Grazioli usato nei rapporti con i tedeschi non può ritenersi quale attiva partecipazione alla lotta contro gli stessi ma può e viene da questa Corte ritenuto, come sovra dichiarato, elemento di valutazione della gravità del reato nei riguardi della applicazione dell'articolo 133 del codice penale.
Imputato
1) del delitto di cui agli art. I comma 3° n:3 e comma D.L.L. n.142 e D.L.L.
27.7.44 n. 159, in relazione all'art.51 c.p.m.g. per avere dopo l'8 9.43 collaborato con il tedesco invasore nel rivestire la carica di capo delle provincie di Bergamo (fino a maggio 1944) di Ravenna (fino a settembre 1944) di Torino (fino ai giorni della liberazione) e di alto commissario per il Piemonte e di aver quale capo della Provincia ed alto commissario in Torino impartito al Presidente della Sezione del Tribunale Speciale, ordini per l'applicazione di severe condanne, ordinata la chiusura degli stabilimenti per reprimere gli scioperi, ordinato il fermo degli operai scioperanti e dato ordine agli organi di polizia di sparare sulle maestranze scioperanti di Torino, convocato il Tribunale militare straordinario di guerra che condannò alla pena capitale numerosi partigiani: per aver in Bergamo ed in Torino, con manifesti murali da lui concepiti rese note le condanne alla pena capitale inflitte ad appartenenti al movimento clandestino di liberazione: per avere in Ravenna ed in Bergamo quale capo di provincia autorizzato e permesso che si commettessero, numerosi omicidi e sevizie in persone appartenenti, al movimento di resistenza e liberazione commettendo con tutti tali atti un fatto diretto a favorire le operazioni militari del nemico e a nuocere alle operazioni militari delle forze armate dello Stato italiano
2) del delitto di cui all'art. 5. D.L.L. 27.7.44 n. 159 in relazione all'art.58 C.P.
M.G. per avere in Bergamo occupata dal nemico, dopo l'8.9.1943 perseguitato i funzionari di P.S. Viola Giuseppe e Sessa Guido, provocando il loro trasferimento e la risoluzione del contratto di impiego per il secondo, che fu anche deferito al Tribunale militare (il 1° per la sua attività antifascista nei 45 giorni del Governo Badogliano il 2° per manifestazioni contrarie alla campagna antiebraica) e per avere ordinato l'arresto del Ten. Col. Trucchi Serafino, rifiutandosi di prestare giuramento di fedeltà allo pseudo governo fascista repubblicano favorendo così i disegni politici del nemico nel territorio occupato e commettendo con tale attività un fatto diretto a menomare la fedeltà dei cittadini verso lo Stato Italiano.
3) di truffa aggravata continuata (art.81-640-C.P. e cap. I C.P.) per avere in Ravenna il 9 settembre 1944 e nei giorni successivi e prossimi a tale data, con l'artificio di emettere una ordinanza di riapertura della contabilità speciale dello Stato per la provincia, quale pseudo capo della Provincia stessa, indotto in errore l'Intendenza di Finanza, facendogli emettere ordinativi di pagamento, a favore di enti fascisti (fra cui il comando provinciale della g.n.r. e il comandante della brigata nera e suo proprio) per l'ammontare complessivo di 15 milioni e 900 mila lire, procurando così a detti Enti ed a sé medesimo l'ingiusto profitto di tali somme ai danni dello Stato.
4) di tentata truffa (art. 56-640 C.P. e cap. N. I. C.P.) In danno alla Banca Nazionale del Lavoro per 2 milioni e 400mila lire nella circostanza di cui al precedente capo di imputazione.
P. Q. M.
Assolve l'imputato Grazioli Emilio del reato di cui al N. II del capo d'imputazione per insufficienza di prove: e dai reati di cui ai N. III e IV° del
capo stesso perché il fatto non costituisce reato.
Dichiaro che i fatti di cui al N. 1 del capo di imputazione costituiscono il reato di cui all'art. 58 C.P.M.G. in relazione all'art.1 D.L.L. 22 aprile 1945 n. 142 e 5 D.L.L. 27 Luglio 1944 N. 159 anziché il resto in rubrica.
Dichiara Grazioli Emilio colpevole di tale minore reato e, in concorso con le attenuanti di cui agli articoli 62 bis, codice penale, e 26 C.P.M.G. lo condanna alla pena della reclusione per anni cinque e mesi quattro, alle spese del giudizio alla interdizione temporanea dai pubblici uffici e alla interdizione legale durante l'espiazione della pena.
Visto poi l'art. 9 citato D.L.L. 27 Luglio 1944 condanna l'imputato infine alla confisca totale dei beni a vantaggio dello Stato.
Visto l'art.9 del D. Pres. 22.6.1946 N. 4 Dichiara condonati anni cinque della pena come sopra inflitta e ordina che Grazioli Emilio sia posto immediatamente in libertà ove non detenuto per altri motivi.
ANNO:
1946
TRIBUNALE:
Corte di Assise di Torino. Sezione speciale
PRESIDENTE:
Giordano Giovanni
TIPOLOGIA DI ACCUSA:
Deportazione,
ACCUSATI:
VITTIME:
COLLOCAZIONE:
Archivio di Stato di Torino, Corte d’Assise sezione speciale sentenze 1946
BIBLIOGRAFIA:
Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Angeli, Milano, 2014