G. Rocco

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In seguito all'odierno pubblico dibattimento ritiene in fatto ed in diritto:

L'imputato G. Rocco, celibe, ventitreenne, incensurato, deve rispondere dell'ascrittogli reato per il fatto specifico di aver maltrattato suoi connazionali, internati come lui in un campo di lavoro tedesco a Mauthausen.

Il fatto è rimasto provato dalle precise e concordi deposizioni di parecchi testi ritornati in Patria dal campo di Gusen in Germania.

E' risultato che il G. fungeva da capo barbiere del campo il che gli procurava oltre ad un supplemento dello scarso vitto, anche una certa autorità sugli altri internati, che gli consentiva di andare armato del tubo di gomma animato, che non si peritava di usare verso gli infelici compagni di sventura estenuati dal pesante lavoro e dalla fame, per acquistare la simpatia degli aguzzini tedeschi e non perdere il posto. Ha deposto Meneghetti Antonio che una volta l'imputato picchiò a sangue un Milanese perchè si era attardato ad un pentolone di minestra per recuperarne i residuati e che lo vide picchiare con il tubo di gomma altri connazionali; Baima Paolo che il G. era armato del tubo di gomma e picchiava con esso i connazionali per nessun serio motivo; Comazzi Enzo che lo vide picchiare col tubo di gomma i compagni; Malgareli Felice che fu egli stesso colpito con due o tre sferzate dal G.; Biotti Giovanni che andava armato del tubo di gomma, ma non lo vide però picchiare.

E' ben vero che altri testi a difesa non lo videro armato, nè seppero che picchiasse i compagni, ma si tratta di compagni rimasti per pochissimo tempo nel campo di Gusen o che erano collocati in altre baracche del campo; cosicché non possono distruggere o mettere in dubbio i fatti visti coi propri occhi dagli altri testi ed addirittura da essi subiti.

La serenità con la quale hanno deposto i primi testi, parecchi dei quali si trovano ricoverati al Sanatorio, triste retaggio della malattia che ad essi è derivata da quella vita di patimenti inumani, convince la Corte della verità delle loro deposizioni, escludendo che siano frutto di mero risentimento per un senso di invidia maturatosi nel loro animo quando nello stato di sofferenza materiale e morale in cui si trovavano vedevano il compagno scansare il faticoso lavoro e nutrirsi meglio.

Il fatto integra l'estremo materiale del delitto di collaborazionismo politico ascritto all'imputato, in quanto favoriva i disegni politici del tedesco per ottenere dagli italiani internati il maggior rendimento e la migliore disciplina.

Concorre l'estremo morale del reato nell'intenzione dell'imputato di favorire il nemico per il vantaggio personale di ottenerne la fiducia e la simpatia, un miglior trattamento

Il fatto rivela anche una speciale perversità perchè contro i compagni di sventura, senza un minimo di pietà.

La difesa ha eccepita l'improcedibilità dell'azione penale per essere il reato stato consumato all'estero, improcedibile senza l'autorizzazione del Ministero della Giustizia (art.8 e 9 CP.).

Come la Corte ebbe già a decidere in precedenti giudicati, l'eccezione va disattesa. Si tratta in vero di un fatto criminale che rientra fra i delitti commessi contro la personalità dello Stato, che è la vera parte lesa, da parte del cittadino che tradisce in tal modo il suo dovere di fedeltà, per cui esula l'applicabilità dell'art. 8 (in relazione all'art, 7 n I°) che richiede la richiesta del Ministro della Giustizia per la procedibilità.

Ha eccepito inoltre la Difesa l'inapplicabilità dell'art. 58 perchè il reato non è stato commesso nel territorio dello Stato invaso dal nemico, ma in Germania.

Osserva la Corte che l'art. 58 CPMG è richiamato soltanto que ad poenam dall'art 5 del DLL 27 luglio 1944 n.159, che anzitutto è stato addebitato all'imputato, in quanto la competenza a giudicare di questa Corte deriva dalla legge che stabilisce le sanzioni contro il fascismo. L'art. 5 punisce chiunque dopo l'8 settembre 1943 commette il delitto ivi previsto, senza punto limitare la località in cui sia commesso. Si tratta di una legge speciale che deve applicarsi in tutti i casi che non siano dalla stessa legge eccettuati per la ratio legis che richiede la punibilità del crimine, tanto dannoso, dovunque sia commesso.

Inapplicabili quindi le norme stabilite per altri casi dal legislatore, quando seppur immaginabile era l'ipotesi di questo fatto criminoso di un’epoca in cui la Patria era in sfacelo.

La pena pel commesso reato si ravvisa congrua in anni dieci di reclusione; però la giovane età dell'imputato e soprattutto lo stato di sofferenza materiale e morale in cui anch'egli si trovava, ed il rilievo che trattandosi di reato che ha forma collettiva la sua collaborazione con il nemico ha avuto minima importanza; consigliano la Corte a concedere le attenuanti generiche e la diminuente dell'art. 114 C.P riducendo la pena ad anni 4 e mesi 6 con le altre conseguenze di legge.

del delitto di cui all'art. 5 D. L. L. 27/7/1944 N° 159, in relazione all'art. 58 C. P. M. G. per avere nel campo di concentramento tedesco di Mauthausen (Gusen) dove con altri italiani si trovava internato, dall'aprile 1944 al giugno 1945, collaborato col nemico e favorito i suoi disegni politici, infliggendo maltrattamenti e lesioni ai compagni, e commettendo in tale modo fatti diretti a menomare la fedeltà di quei cittadini verso lo Stato italiano

P. Q. M.

Ritiene G. Rocco colpevole del delitto ascrittogli con le attenuanti degli art. 62 bis e 114 C.P. visti gli art. suddetti lo condanna alla pena della reclusione per anni quattro e mesi sei, all'interdizione dei pubblici uffici per uguale durata ed al pagamento delle spese processuali.

ANNO:

1946

TRIBUNALE:

Corte Straordinaria Assise Torino. I Sezione Speciale

PRESIDENTE:

[ill.]

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Altro,

ACCUSATI:

G. Rocco

VITTIME:

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di Torino, Corte di Assise Straordinaria busta 2