D. Angelo

Filtri

Nel pomeriggio dell’11 agosto 1944, un gruppo di cittadini, traduceva il prevenuto D’A. Angelo, alla stazione dei RR.CC. di questa piazza Farnese, accusandolo di aver collaborato con i fascisti repubblichini, nel periodo che Roma era occupata dai tedeschi. Fra i detti cittadini eravi il nominato Cava Aldo, il quale, espose che nel periodo di occupazione tedesco, essendo egli ebreo, si rifugiò, credendosi al sicuro, nell’istituto “Notre Dame de Sion” sito in quella di via Fabrizii; ma pochi giorni prima l’arrivo degli alleati a Roma, un gruppo di fascisti, fra cui il prevenuto si presentarono all’Istituto per procedere a “fermi” onde egli tentò la fuga, ma venne raggiunto dal Prevenuto, che con la pistola in, pugno, lo prese e lo consegnò al Brigadiere del gruppo, dopo di che fu condotto in via Tasso (fol. 4777). Fra i cittadini suddetti eravi anche la ebrea Debora Pavoncello, la quale, alla sua volta, espose che il 2 maggio alle ore 16 si presentarono in casa sua, due giovani – uno di essi il prevenuto – con le pistole in pugno – costringendo lei e sua sorella Camilla, seco coabitante, ad entrare nel gabinetto, ordinando nel tempo stesso al di lei figlio Adolfo, rimasto con loro, a mettersi con la faccia al muro, dopo di che, in cerca di oro, rovistarono tutta la casa. Finita la perquisizione, costrinsero le due sorelle e il giovanotto a seguirli. Giunti a Piazza Colonna, le due donne, per intercessione di uno sconosciuto, furono lasciate libere, mentre Adolfo fu trattenuto e condotto in Piazza Farnese al comando della P.A.I. e da lì a Regina Coeli. Aggiunse ancora, che il compagno del prevenuto, a nome Remo, promettendo di far ben trattare il figlio, le estorse la somma di L.15000; e due giorni dopo presentatosi a lei un altro sconosciuto, le richiese L.5000, sotto promessa della immediata liberazione del figlio, il quale, non è più tornato, malgrado il pagamento delle L.5000.  In vista di ciò i RR.CC. trattennero in arresto il D’A. Angelo, ed interrogatolo, ebbero la di lui confessione, nonostante rivestita da più di una menzogna.

Egli, dopo aver premesso (fol. 6) di non essersi mai iscritto al partito fascista repubblicano e di non avere mai ubbidito all’ordine della chiamata alle armi, venne il 15 aprile 1944 arrestato dalla polizia italiana e tedesca e trasportato Viterbo, ove venne adibito ai lavori in un campo d’aviazione, ma subito dopo, approfittando di un bombardamento che naturalmente allentò la sorveglianza, riuscì a fuggire e a tornare in Roma ove, per non incorrere nella penalità sancita per i renitenti o disertori, si impiegò nell’ufficio annonario, dipendente dalla federazione fascista.

Avvenne che, mentre egli prestava il detto servizio, ebbe occasione di salvare un suo compagno di scuola Di Tivoli Bruno, ebreo, da una razzia, e che, essendosi di ciò accortosi il di lui comandante, gli diede ordine, per metterlo alla prova di fedeltà, di partecipare a razzie di ebrei che si sarebbero trovati in via degli Specchi e a Monteverde. Precisò, (più tardi, fol.4 V. atti correnti) che in via degli Specchi trovò le sorelle Pavoncello ed il relativo figlio – nipote Adolfo e che per la di lui intromissione le sorelle Pavoncello furono lasciate libere. Circostanza codesta recisamente sbugiardata dalle Pavoncello – e che a Monteverde arrestò il Cava, in cambio del salvataggio da lui operato in favore di altri due ebrei, anche questa circostanza è stata recisamente smentita. Procedutosi contro di lui ad istruzione formale il G.I. con sentenza 20.1.945 su conforme richiesta del P.M. lo rinviò avanti questa Corte di Assise per rispondere del delitto come in epigrafe.

Il pubblico dibattito ha avuto luogo nella udienza del 23 giugno 1945. In essa il P.M. dopo la escussione dei testi e la lettura degli atti ha chiesto l’affermazione della responsabilità del prevenuto e la di lui condanna ad anni 16 di reclusione.

La difesa, a sua volta, ha chiesto l’assoluzione del medesimo per insufficienza di prove ed in linea subordinata la condanna al minimo della pena, ridotta per le attenuanti di cui agli art.62 bis nonché di quelle ai n.1-3-6 dell’art.62.

Mettere in dubbio la colpevolezza dell’imputato, come pretende la difesa, la quale implora l’assoluzione per insufficienza di prove sarebbe chiudere gli occhi alla luce, poiché, per le stesse confessioni del prevenuto – per quanto fatte a denti stretti - e soprattutto per le precise e circostanziate accuse delle sorelle Pavoncello e del Cava (contro le a cui affermazioni nulla si è offerto di rilevante) si ha la prova piena, ch’egli, animato da spirito fazioso e dal desiderio di vedersi benemerito agli occhi dei suoi degni superiori, non sdegni di atteggiarsi a persecutore ostinato e crudele dei poveri ebrei, rei soltanto di appartenere ad una razza diversa dalla ariana. Esso prevenuto ha pensato di togliere ogni impronta di illecità agli operati arresti di Pavoncelle e di Cava Aldo, scusandosi di aver proceduto agli arresti – suo malgrado – perché fu messo alla prova di fedeltà dai suoi superiori – che, sospettando di lui, per avere egli in precedenza salvato un ebreo da altra razzia, vollero che egli si riabilitasse, compiendo razzie.

Or il motivo a delinquere, non riesce certamente a discriminare, perché il motivo non si identifica col dolo. Chi compie un atto, costituente reato, e nel compierlo, opera in una sfera di libertà e con la coscienza con l’atto stesso, è vietato e punito, dalla legge penale, lo compie con tale, e però deve penalmente rispondere, qualunque sia il motivo che ha determinato l’azione. Non è lecito pensare che il prevenuto ignorasse, dopo l’8 settembre, che era vietato, dalle leggi del legittimo governo italiano arrestare gli ebrei, soltanto perché tali, e che ciò facendo, consumava il tipico favoreggiamento ai disegni politici dei tedeschi, i quali miravano allo sterminio degli ebrei, vedendo in essi gli ostinati avversari del folle sogno di egemonia di Hitler.

E non è possibile che egli non sapesse che dopo l’8 settembre che i tedeschi erano considerati e trattati da nemici dal legittimo governo italiano, che ne voleva scuotere, come ne ha scosso, il giogo, combattendoli e cooperando cogli alleati e cacciatili dall’Italia, ove erano venuti col proposito di rimanervi da padroni.

Egli non ignorava tutto ciò! Anche con l’avere arrestato il Cava, il quale, rimase a marcire in carcere, fino all’arrivo degli alleati, e con l’avere arrestato il sedicenne Pavoncello Adolfo, di lui se ne ignora la sorte! Commise atti penalmente vietati, atti che erano conformi al suo triste ufficio, volontariamente assunto. Emerge invero dalle carte del processo, che quando egli, per sfuggire, alla eventuale chiamata alle armi, cercò scampo nella Federazione, fu assegnato (lettera del fratello di lui a f.14) al servizio degli arresti dei cittadini di razza ebraica, ed è da affermare, che veramente, con sadica gioia si diede alla esplicazione di tal servizio, se è vero che non lo fecero desistere, dallo eseguire gli arbitrarii arresti, né il pianto di donne (come nel caso Pavoncello) né l’accorata preghiera degli uomini (come nel caso di Cava) il quale, cercò invano di intenerirlo, facendogli noto che era padre di quattro figli. Egli ha sperato di giustificarsi dal suo ignobile gesto, affermando di avere arrestato il Cava perché in sua vece fece fuggire altri due ebrei, e di avere arrestato il Pavoncello, in compenso della liberazione della di costui madre e zia! S’anco così fosse, egli non sarebbe meno responsabile di favoreggiamento ai tedeschi, per quanto attiene agli arresti nei confronti di Cava e Pavoncello, poiché il favoreggiamento non è compensabile come le ingiurie. In subicata materia l’obbedienza alla stessa legge, per [ill.] in compenso altre persone, mancando al riguardo alcuna norma. Ma in punto di fatto non è vero che il prevenuto abbia arrestato Cava e Pavoncello, per salvare due altri ebrei in luogo del primo e le congiunte (madre e zia) in luogo del secondo, poiché è recisamente smentito sia dal Cava che dalle dette congiunte (f.7.8.9. atti correnti) Affermata la responsabilità, non fa d’uopo scendere a lunghe dissertazioni, per negare l’attenuante di avere egli agito per motivi di particolare valore morale e sociale poiché l’atto compiuto è in aperto contrasto con le esigenze etiche, ed è antisociale; né può concederglisi l’attenuante di cui al n.3 dell’art.62 poiché egli non agì per suggestione di folla, ma per cinica obbedienza ad un governo illegale; né può concederglisi la diminuente di cui all’art.62 n.6 poiché non è stato riparato in danno prima del giudizio, né tampoco egli ebbe ad adoperarsi per eliderlo e diminuirlo (Pavoncello non più tornato; Cava fu liberato dagli alleati) le congiunte di Pavoncello furono estorte, dai compagni del prevenuto, forse col di costui assentimento, di L. 6500, sotto il raggiro che il giovane Pavoncello sarebbe stata ridata la libertà.

Circa la richiesta delle attenuanti generiche di cui all’art.62 bis la Corte non vede la ragione per negarle, anche in orata di buoni precedenti del prevenuto.

In quanto alla misura della pena credesi equo partire da anni 12 e ridurli di 1/3 cioè ad anni 8 per le attenuanti generiche.

La condanna, imposta la interdizione perpetua dai pubblici uffici (art.22) e l’onore delle spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere.

Delitto di cui all’articolo 5 D.L.L.27.7.944 n. 159 in relazione all’articolo 58 C.D.M di Guerra, per avere in Roma, posteriormente all’8 settembre 1943, collaborato col tedesco invasore, procedendo, quale addetto alla federazione fascista repubblicana, allo arresto di ebrei e alla perquisizione nei loro domicili favorendo così i disegni politici al nemico

La Corte dichiara D’A. Angelo [...] colpevole del delitto ascrittogli, con attenuanti generiche e letti gli art.5 del R.D.L. 27.7.1944 n.159-58 C.P.M. di guerra 62 bis, e 29 C.P. 488 C.P.P. lo condanna ad anni otto di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, alle spese processuali comprese quelle del mantenimento in carcere, durante la custodia preventiva.

Roma, 23.6.1945

ANNO:

1945

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Roma. Sezione prima

PRESIDENTE:

Loiacono Francesco

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Arresto, Estorsione,

ACCUSATI:

D. Angelo

VITTIME:

Cava Aldo
Pavoncello Adolfo

COLLOCAZIONE:

Archivio di Stato di ROma, Corte di assise speciale, f.56