Fracchia

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La Corte osserva che, eseguito come da ordinanza pronunziata al principio del dibattimento, lo stralcio degli atti in confronto di Martina Cesare e Ghibaudo Angela, il giudizio che essa, a seguito di citazione diretta del P.M. è, per ora, limitato agli imputati Fracchia Renato e Fracchia Eva, in base ai reati enunziati in epigrafe.

Di essi il più grave è quello che investe Fracchia Renato, cui si attribuisce di avere tenuto intelligenza col tedesco invasore, mettendosi volontariamente alle sue dipendenze ed esercitando su larga scala la caccia agli ebrei da deportare nei campi di concentramento e di eliminazione. In ordine a questo reato la prova non potrebbe essere più piena, e la stessa difesa se ne è resa perfettamente conto, solo sostenendo che esso debba essere definito non come violazione dello art. 54, contestato, del Cod. Pen. Militare di Guerra, ma dello art. 58. Solo a questo fine, pertanto, sarà necessario, sia pure in sintesi quanto più possibile rapida e concisa esaminare l’azione del Fracchia che ad una valutazione anche soltanto superficiale apparirà come è, di eccezionale gravità.

Egli appare subito come l’anima dannata del tenente Von Langen, figlio del console germanico a Torino, del quale egli era stato compagno di scuola. È in questa affinità elettiva che bisogna trovare la ragione intima dell’asservimento del Fracchia - spirito e opera, volontà liberamente determinatasi e azione coscientemente esplicantesi – al tedesco invasore: è la solita pietosa abusata scusa di tutti i criminali del genere quella del pubblico dibattimento, protestante il solito dilemma imposto del campo di concentramento o della cooperazione. Il Fracchia, che risulta nato nel 1913 e che era stato riformato dal servizio militare per ipoacusia, era garantito contro ogni possibile rappresaglia: in più lo preservava l’amicizia intima del tenente Von Langen, imperversante nel sinistro ambiente di via Nazionale, sempre pronto a proteggere il suo antico compagno di scuola. E non manca l’abietto fine di lucro: la caccia all’ebreo fruttava fior di quattrini, non certo le sole ventimila lire, oltre il trattamento, che il Fracchia conferma nel suo interrogatorio.

L’esame dei singoli fatti dimostra infine uno spirito di iniziativa che caratterizza inconfondibilmente l’azione del Fracchia, come quella del più zelante, e si potrebbe dire brillante, razziatore di ebrei.

Il 22 aprile 1944 egli si presenta in casa Fano in via San Francesco da Paola [...], e recita da perfetto artista una sconcia commedia. Alla signorina Osello che è in casa, si qualifica come ingegnere Miglian, nome di pretta marca ebraica, e, piangendo, dice che un suo vecchio zio è moribondo ed è disperato perché non v’è alcuno vicino che gli possa recitare le preghiere dei morti secondo il rito israelitico. Gli si risponde che il vecchio Fano è sfollato e non sarebbe tornato se non il 25 lunedì, e che frattanto poteva egli recarsi al ricovero dei vecchi in via Santa Giulia, ove era facilmente reperibile qualche vecchio ebreo, edotto del rito. Vana è la negativa del Fracchia al riguardo, perché, a parte la ferma deposizione della teste Osello, la quale non poteva crearsi una così fantasiosa scena, il racconto è confermato dal teste Ugo Fano, sfuggito miracolosamente alla cattura. Se mai, la negativa aggrava la situazione del Fracchia, conscio della gravità del fatto, il quale dimostra il tessuto di arti, cui egli ricorreva per avere il recapito di ebrei da catturare. Ritorna più tardi col Soave, il cui processo è stato stralciato dal P.M. per trovarsi questo in campo di concentramento: la Osello, che ha capito, troppo tardi, il trucco, nega che in casa vi sia alcuno della famiglia Fano. Si insiste; in casa era infatti uno dei fratelli, Marco, che fu prelevato e tradotto alle Carceri, dopo essere passato dall’Albergo Nazionale, e quindi al campo tristemente famoso di Fossoli, e di qui in Germania. Puntualmente, il lunedì successivo, sfruttando la informazione avuta il giorno 22, il Fracchia col Soave torna in via S. Francesco da Paola, ad arrestare il vecchio Fano, ultrasettantenne (teste Costamagna). Subisce anch’egli lo stesso calvario. Né egli, né il figlio sono tornati dal campo di concentramento.

Il 13 maggio 1944 dal Fracchia e dal Soave, che evidentemente facevano buona guardia, è arrestato l’avv. Gustavo Ottolenghi mentre entrava nella comunità israelitica di via Orto Botanico. Il colpo era grosso, perché addosso all’Ottolenghi, che fu depredato di quanto possedeva (100.000 lire in contanti, 50.000 in titoli, catena d’oro e altri oggetti di valore) fu trovata anche una distinta del suo patrimonio cospicuo, riuscendo ad estorcergli il nome del depositario, avvocato Rosso Alberto, residente in Cavoretto, Villa 47, dove i tristi figuri si recarono a completare la spoliazione. Addosso all’Ottolenghi fu trovato anche l’indirizzo del nipote Armando Ottolenghi anch’egli arrestato il 17 Maggio dal Fracchia e dal Soave, anch’egli vittima di un tranello, perché gli avevano fatto credere che lo zio, del quale egli ignorava la cattura era ammalato e voleva vederlo. Egli fu difatti arrestato [ill.] un quarto d’ora dopo che si trovava in casa dello zio, dal Fracchia e dal Soave e dall’immancabile interprete tedesco, vigili [ill.] alla caccia fruttifera. Subì anche costui la rituale spoliazione all’Albergo Nazionale, dove il Soave arrivò fino a strappare le fotografie dei genitori di lui, già da tempo arrestati, e finiti nei campi di eliminazione, donde non sono più tornati. Sfuggì a questa sorte Armando Ottolenghi, perché il 2 Agosto a Verona riuscì ad evadere dal treno che dal campo di Fossoli lo portava in Germania. Il che ha reso possibile, attraverso la sua testimonianza, ricostruire quest’altro episodio, non negato, del resto, come agli altri, nella sua essenza, dall’imputato. Ad esso si ricollega quello del vecchio maestro Senigallia, ottantaduenne, ricoverato all’ospedale Mauriziano. Mentre, infatti, il Fracchia e il Soave a Cavoretto indagavano a Cavoretto, a proposito della famiglia Ottolenghi, da una zia della moglie del teste appresero che la villa dove essa abitava era del maestro Senigallia che accertato trovarsi al Mauriziano. Nonostante l’età e la degenza, la preda non doveva sfuggire. Ma il vecchio cuore del maestro non resistette. All’atto dell’arresto una sincope lo uccise. Con assoluta indifferenza, senza un brivido di commozione, i due figuri Fracchia e Soave riferivano, presente il teste, all’Albergo Nazionale, l’episodio lacrimevole. Superstite dei campi di concentramento è, solo per la sua forte fibra, Bellinzona Leonella, arrestata proprio dal Fracchia, perfettamente edotto, come imprudentemente ha ammesso in udienza delle circostanze della sua nascita e della sua adesione, e da lui, e non da altri, interrogata nell’Albergo Nazionale prima di essere tradotta alle carceri, e poi a Fossoli, e infine in Germania, donde è rientrata soltanto il 31 Agosto dell’anno corrente. Altro superstite è Leves Ruggiero, arrestato il 3 Aprile dal Fracchia ed evaso insieme con altri 7 o 8 durante il trasporto in treno da Fossoli in Germania. L’episodio ha importanza perché dimostra la venalità e l’avidità del Fracchia, il quale per mezzo dell’avvocato Aldo Bertelè proponeva alla moglie del Leves la liberazione, previo versamento della somma di lire sessantamila; Il fatto è ammesso implicitamente dal Fracchia, il quale, essendo cliente dell’avvocato Bertelè, cerca di invertire le parti, affermando che fu il Bertelè a dargli qualsiasi somma se egli si fosse efficacemente interessato per la liberazione di lui, al che lo stesso Fracchia avrebbe risposto che egli non poteva farci nulla. Sintomatico è il fatto che l’avvocato Bertelè rilascia, a richiesta della difesa, una dichiarazione, secondo la quale il Fracchia lo avrebbe avvertito di fare allontanare la moglie Lia Colombo, perché ricercato, come ebrea, dalle SS tedesche; ma tace di quest’episodio riferito dal Leves; evidentemente alla difesa non conveniva indagare troppo a riguardo, dopo le compromettenti ammissioni del suo cliente, che poteva fare iol generoso col Bertelè, non così con altri. Se ne ha la riprova nell’altro episodio riguardante l’ebreo Rossi Gino arrestato dal Fracchia, e dal Soave il 17 Aprile 1944 e non più tornato dai campi di concentramento. Or la moglie Chierino Teresa ha deposto che due giorni prima era stata fatta la proposta di munirlo di documenti falsi, previo versamento di diecimila lire. Il patto non fu accettato, e seguì l’arresto con il prelevamento di sette macchine da scrivere. La seconda iniziativa del Fracchia nel truccare i mezzi più conducenti a trarre in inganno gli ebrei, dei quali andava a caccia è rivelato dall’episodio dei fratelli Gasperini. Racconta Gasperini Renzo (e sostanzialmente il Fracchia lo ammette) che nel pomeriggio del 4 Maggio 1944 si presentò nella sua abitazione di via Po 25 l’imputato, insieme col Soave, e qualificandosi ebreo, gli manifestò che era ricercato dalla polizia tedesca, assicurandolo che faceva parte di un comitato di ebrei e che aveva l’incarico di portargli un salvacondotto, e gli chiese inoltre se aveva anche qualche conoscenza da far salvare. Il Gasperini che fu fatto salire su un’automobile cadde nel tranello e indicò l’indirizzo del fratello a via Goito 1, dove passavano a prelevarlo. Li attendeva invece l’Albergo Nazionale. Di qui passarono entrambi alle carceri, quindi a Fossoli. Riuscirono anch’essi ad evadere dal treno lungo il tragitto in Germania. I due sgherri furono così felici del doppio colpo che, quando furono all’Albergo Nazionale effusero tutta la loro gioia in un abbraccio. Sulla stessa linea psicologica è l’episodio narrato dal teste Favia che cioè il 24 aprile 1944, mentre egli era arrestato al Nazionale, sopraggiunse di Fracchia, che aveva a sua volta arrestato un certo Franco, ed esclamò: “eccone un altro; ho giurato di portarne uno al giorno!”. L’arresto di Cingoli Carlo, un altro degli scampati, per essere poi fuggiti dal treno in corsa, ha importanza, perché a proposito di esso vien fuori il nome e la persona di Ghibando Angela (giustiziata probabilmente durante l’insurrezione) che si faceva passare come moglie o amante del Fracchia, il quale riconosce in udienza essere stata quella triste donna informatrice dei tedeschi. Lo stesso nome che avvince sempre più strettamente il Fracchia a tutto il complesso dell’attività svolgentesi nell’Albergo Nazionale in maniera non episodica ma continuativa, si ritrova a proposito dell’arresto di Cohen Isacco, non più tornato dai campi di concentramento, di cui fa fede, oltre la confessione del Fracchia, la moglie del Cohen, Giublena Anna. E anche qui la iniziativa del Fracchia è rivelata dall’essersi egli presentato come ebreo, col nome di Franco Miglian (come quelle adoperate con la famiglia Fano) incaricato di distribuire soccorsi agli ebrei poveri, dandone a sua volta mandato allo stesso Cohen, non potendo egli e il suo compagno occuparsene direttamente, consegnando, come promettevano, a lui una busta contenente i denari da distribuire; evidentemente era questo un altro mezzo di carpire il recapito degli ebrei da catturare. Del resto la fama del Fracchia, come colui che disponeva della sorte degli ebrei, era consolidata assai bene presso gli stessi suoi amici. Il teste a discarico Francesco Pacchiotti che ne frequentava la casa, dove conobbe anche il Soave, quando un giorno fu da costui avvertito che doveva arrestare il suo capo-ufficio dottor Laudi, candidamente gli osservò: “Ma come? Non è il Fracchia che procede agli arresti?” e, a conferma, il Fracchia da lui avvertito, gli disse di star tranquillo egli e il Laudi. Questa iniziativa ebbe altra prova nell’arresto di Pilade Momigliano, al quale egli e il Soave si presentarono come persone provenienti da Biella, donde affermavano di dovergli dare notizie della moglie ivi sfollata. Il Momigliano, peraltro, non cadde nell’inganno; ma la sua cattura avvenne egualmente, perché fu proprio il Fracchia a penetrare nel suo alloggio attraverso la finestra. Neanche il Momigliano è più tornato dai campi della morte. Dalla documentata e precisa ricostruzione che precede rimane dimostrata, pur rimanendo nell’ombra altri episodi peraltro ammessi dall’imputato nei suoi interrogatori, la responsabilità di lui, non contestata dalla stessa difesa, in ordine ai fatti costituenti il primo capo di imputazione è pienamente dimostrata: né la Corte crede fondata la tesi difensiva circa la definizione di essi. Così l’art. 58, invocato dalla difesa, come l’art. 54 Cod. Pen. Mil. Di guerra, contestato dal P. M., sono compresi nel [ill.] 2°: “dei reati contro la fedeltà e la difesa militare”, e nel capo 1°: “del tradimento”. La differenza quindi fra l’una e l’altra ipotesi di reato, miranti allo stesso fine, violatrici dello stesso obbligo di fedeltà alla patria, è qualitativa e nello stesso tempo quantitativa. Si è già incidentalmente dimostrato e accennato che non di una attività episodica si tratta, ma continuativa, permanente, legata ad un fatto. Differenza qualitativa dunque, perché il Fracchia è a diretto servizio del tedesco invasore, installato nel covo stesso della criminale organizzazione dell’Albergo Nazionale, tanto da fargli dire in uno dei suoi interrogatori; che egli non dipendeva dalle autorità repubblicane, fasciste, per nessun motivo, né gerarchico, né disciplinare, né economico, e che, per qualunque incidente potesse capitargli, bastava telefonare al tenente Von Langen, del quale, ci è detto, era l’anima dannata. Vincolo dunque di diretta dipendenza, che importa, nel significato grammaticale e giuridico, la intelligenza e la corrispondenza col nemico, che esprima un concetto assai più ampio e comprensivo del semplice collaborazionismo dell’art. 58. È differenza quantitativa, per il numero degli episodi, con esito il più delle volte letale, tutti ispirati a quella persecuzione razziale, che fu una delle più terribili e spietate armi di guerra della Germania. Se ne parla proprio in questi giorni a Norimberga, con la cifra spaventosa di oltre sei milioni di ebrei eliminati. Questo processo potrebbe dirsi un capitolo di quello che si sta celebrando a Norimberga. E nessuna attenuante, e neanche quelle generiche, per la intensità preoccupante dell’azione del Fracchia, dimostratasi fuori della norma comune e media della punibilità morale, fuggiasco nell’ora della insurrezione, in cui la vindice coscienza popolare poteva costargli, come alla Ghibaudo, la vita, può essere conceduta. Troppe vite perirono per il suo ignobile asservimento al nemico. I reati concorrenti, punibili separatamente dalla pena di morte, che è da infliggere per quello militare, dimostrano quel lato della personalità del Fracchia, venale e avido, già rilevato, e definiscono la sua personalità come degna del massimo castigo. Del furto, vera spoliazione, dell’Ottolenghi, si è parlato: ad esso va aggiunto quello in danno del Momigliano, derubato della radio e di altri oggetti e di lire 80.000, dimostrato attraverso la dichiarazione del teste portinaio presente. Essi costituiscono il delitto di furto aggravato continuato, di cui alla lettera c) della rubrica. In esso va [ill.] a titolo di continuazione il fatto, contestato come saccheggio al campo b). Ora questo fatto, come lo stesso P.M. all’udienza ha convenuto, non può essere definito saccheggio, perché a prescindere da ogni considerazione di diritto la spoliazione di tutto il ricco ingente patrimonio della Sinagoga. Dovuta, con quasi assoluta certezza, alla rapina tedesca. Il Fracchia ha operato nei margini, perché, avendo la custodia del tempio, si è approfittato di qualche oggetto, come del pianoforte venduto a Rodolfo [ill.] per L. 150.000, come quando con biglietto da lui rilasciato, permise che la sorella Eva si impossessasse di piastrelle da costruzione e da alcuni mobili. E limitatamente a questo episodio deve rispondere anche la Eva a titolo di furto semplice. Ma dove rifulgerà ancora più la avidità del Fracchia, è la truffa da lui compiuta in combutta di Von Langen in danno della signora Ratti. Questa ha il marito arrestato. Le viene indicato il Fracchia come la persona che potrebbe salvarlo; Ma si chiedono L.500.000. La signora va all’Albergo Nazionale e Von Langen, presente il Fracchia, dice: “Lei sa già la somma; occorrono però denari, non assegni”. Inoltre la somma deve essere consegnata a Milano; dove è il marito catturato. Proprio Fracchia suggerisce che si rilasci un salvacondotto alla signora. A Milano colpo di scena. Von Langen, intascato presente il Fracchia il mezzo milione, dichiara in arresto la Ratti, colpevole soltanto di essere la moglie di un ufficiale che aveva serbato fede alla propria bandiera. Non occorre parole per dimostrare come questa sia una truffa. Pei reati minori la Corte reputa adeguata la pena di anni 3 e L.2.000 di multa per il furto doppiamente aggravato, elevabile per la continuazione ad anni 2 e mesi 6 di reclusione e L.3.000 di multa e anno 1 e lire mille di multa, elevabili ad anni uno e mesi sei di reclusione e lire duemila, per la truffa, ricorrendo le due aggravanti dell’art.61 n. 5 e 7 cod. pen. A Fracchia Eva la pena può determinarsi equamente in mesi nove di reclusione e lire mille di multa e, giudicando la corte che essa non commetterà altro delitto le concede il doppio beneficio della condanna condizionale e della non iscrizione nei certificati del casellario. Seguono le sanzioni accessorie, compresa per Fracchia Renato la confisca dei beni.

Fracchia Renato:

a) del delitto P.P. art. 54 C.P.M.G. in relazione all’art. 3 D.L. 27 Luglio 1944 n. 159, per aver tenuto nel Piemonte invaso ed occupato dal nemico tedesco durante il periodo Settembre 1943- Aprile 1945 intelligenza col nemico stesso, mettendosi volontariamente alle sue dipendenze e al suo soldo quale agente delle SS tedesche e procedendo colla propria opera personale all’arresto di gran numero di cittadini italiani che secondo le leggi razziali di Norimberga erano ritenuti appartenenti alla così detta razza ebraica, arresto seguito sempre da deportazione nei campi di concentramento e di sterminio tedeschi, ove la maggior parte dei deportati trovò la morte.

b) di saccheggio aggravato ai sensi dell’art. 419. 61 n.5 e 681 u. o. v. C.P. in relazione all’art.1 lettera A R.D.L. 30 novembre 1942 n. 1365, e art.3 D.L. 27 luglio 1944 per avere in Torino nel periodo marzo-maggio 1944 in concorso con gli altri, commesso atti di saccheggio asportando dalla Sinagoga, dalla scuola israelitica e dalla Sede della Comunità israelitica oggetti di rilevantissimo valore, fra cui incunaboli, pergamene, ori, argenterie e quant’altro in detti locali si trovava

c) del furto aggravato a sensi dell’art. 625 n.1 e 581 u. p.v. C.P. per essersi impossessato in unione a Soave Gastone e ad un interprete delle SS tedesche rimasto sconosciuto, nel periodo di tempo anzidetto e senza il consenso dei legittimi proprietari, di contanti, titoli, numerosi oggetti d’oro per un valore di vari milioni di lire di proprietà di Ottolenghi Gustavo; della somma di L.80.000, un apparecchio radio ricevente, 20 dozzine di calze del valore di L. 60.000 e oggetti d’oro di proprietà di Momigliano Pilade.

d) di truffa a sensi dell’art. 640 p.p, 61 n. 5 e 7 c.p. in relazione all’art. 3 D.L 27.7.1944 n. 159, per avere in Torino nel gennaio 1944, valendosi della situazione creata dal fascismo e della sua qualità di agente della SS tedesca con artifizi e raggiri e cioè promettendo alla signora Ratti Maria la liberazione del proprio marito detenuto dalla SS tedesca di Milano, mediante versamento della somma di L. 500.000, indotto in errore la predetta signora procurando a se ingiusto profitto della somma di cui sopra, profittando di circostanze tali da ostacolare la pubblica difesa e cagionando alla parte offesa un danno patrimoniale di rilevante valore.

 

Fracchia Eva:

del delitto p. e p. art. 419.61 n. 159, in relazione all’art.1 lettera A) R.D.L. 30, II. 1942 n. 1365 e art. 3 D.L. 27.7.44 n.159 per aver, in concorso con il primo fratello Fracchia Renato in Torino, il 23 Maggio e giorni seguenti commessi fatti di saccheggio asportando dalla Sinagoga stessa e senza l’autorizzazione dei suoi legittimi rappresentanti, approfittando della situazione creata dal fascismo, e di circostanze dipendente dallo stato di guerra, tali da rendere impossibile la pubblica e privata difesa. […]

Dichiara Fracchia Renato fu Michele colpevole del reato di cui alla lettera a) della rubrica, nonché del reato di furto di cui alla lettera c) continuato in relazione del fatto di cui alla lettera [ill.]) che rimane così rettificato; e della truffa di cui alla lettera d); e, letti gli art. 54 C.P.M.G., 624 n. 1 e 5, 81. 640 p.p., 61 n. 5 e 7, 36 cod. pen., 483, 488 C.P.P. e art. 9 D.L.L. 27 Luglio 1944 n. 159, lo condanna alla pena di morte, mediante fucilazione nella schiena, quanto al reato di cui all’art. 54 C.P.M.G.  e determina in anni cinque di reclusione e lire cinquemila di multa le pene per gli altri reati di furto continuato aggravato e di truffa. Ordina la confisca dei beni. Ordina che la sentenza sia pubblicata per estratto sui giornali de l’Unità e l’ Opinione e affissa nel comune di Torino.

Dichiara Fracchia Eva, così modificata la rubrica, colpevole di furto semplice, e letti gli art. 264 C.P. 163. 164. 175 C.P., 403 488 C.P.P., la condanna a mesi nove di reclusione e a lire mille di multa, alle spese del procedimento e a quelle del suo mantenimento in carcere durante la custodia preventiva. Ordina che l’esecuzione della pena inflitta alla medesima Eva Fracchia sia sospesa entro il termine di anni 5, e che della condanna non si faccia menzione nei certificati di casellario sotto le condizioni di legge. Ordina la scarcerazione di essa Fracchia Eva se non detenuta

ANNO:

1949

TRIBUNALE:

Corte di Assise di Torino. Sezione speciale

PRESIDENTE:

Ruggero Raffaele

TIPOLOGIA DI ACCUSA:

Arresto, Estorsione, Saccheggio,

ACCUSATI:

Fracchia Eva
Fracchia Renato

VITTIME:

Cingoli Carlo
Cohen Isacco
Fano Alessandro
Fano Marco
Gasperini Dino
Gasperini Renzo
Jona Bellinzona Leonella
Leves Ruggiero
Momigliano Pilade
Ottolenghi Armando
Ottolenghi Gustavo
Rossi Gino
Senigallia [Sinigaglia] Leone

COLLOCAZIONE:

Archivio Centrale dello Stato, Ministero di Grazia e Giustizia, Grazie, collaborazionisti, b.20

BIBLIOGRAFIA:

Su Leone Sinigaglia: Gianluca la Villa e Annalisa Lo Piccolo, Leone Sinigaglia. La musica delle alte vette, Gabrielli Editori, 2012.